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Caso Bellomo, «dress code» alle corsiste, la Cassazione: «Lesivo della dignità umana»

 
Redazione online

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Le motivazioni con le quali è stata bocciata l'ordinanza del Riesame di Bari che aveva sostituito i domiciliari con il divieto di svolgere attività imprenditoriali e di insegnamento per l'ex giudice

Giovedì 12 Marzo 2020, 21:46

«La particolare propensione a delinquere» manifestata da Francesco Bellomo -l'ex giudice indagato per violenza privata nei confronti di alcune studentesse dei suoi corsi di preparazione all’ingresso in magistratura - «dovevano condurre a valutare se il pericolo di reiterazione si possa verificare anche in contesti diversi dallo svolgimento delle attività di insegnamento». Lo sottolinea la Cassazione nei motivi con i quali ha accolto il ricorso del pm di Bari contro l’annullamento degli arresti domiciliari a carico di Bellomo. All’ex toga della giustizia amministrativa , il Tribunale del riesame infatti lo scorso 10 settembre aveva sostituito la misura cautelare con il più blando e meno afflittivo divieto di insegnare e svolgere qualunque attività imprenditoriale per un anno.

Ma secondo la Cassazione, è emerso dalle indagini - come rilevato dal pm di Bari - che i corsi «avevano dato l’avvio a relazioni personali, in realtà sganciate dal contesto accademico». In proposito, i supremi giudici osservano che «già per una delle ragazze era avvenuto che l’inizio della collaborazione scientifica e subito dopo della relazione affettiva con l’indagato, erano sorti dopo aver superato le prove scritte del concorso in magistratura, e per le altre ragazze parte lesa i comportamenti contestati a Bellomo "avevano travalicato e trasceso la sede 'naturalè dei corsi di insegnamento per riverberarsi e proseguire al di fuori e al di là di quel contesto». In sostanza, «l'impostazione dei rapporti personali e affettivi che il Bellomo sollecitava e imponeva sono proseguiti in talune vicende anche aldilà dei corsi». Adesso il tribunale del riesame dovrà rivalutare «la scelta adeguata della misura da applicare» a Bellomo che alle sue allieve imponeva anche il «dress code».

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