L'inchiesta
Puglia, salvaguardare le dimore storiche: sono il nostro tesoro
Il rischio abbandono, i primi strumenti per intervenire. Il governo pugliese ha finanziato due misure per la valorizzazione delle dimore storiche
C’è chi sostiene rappresentino il volto nuovo dell’ospitalità in Puglia. Sul portale della Regione sono censiti 190 tra castelli, masserie fortificate e residenze nobiliari aperte al pubblico. La classica punta di un iceberg. Il numero degli immobili è sterminato, difficile da conoscere in termini di dimensioni, le banche dati vanno aggiornate soprattutto con le proprietà private. Perché il respiro della storia, unito a eventi, meeting e convegni, da solo non è sufficiente a garantire la salvaguardia (leggi manutenzione) di un patrimonio unico, l’identità culturale di un territorio.
Si tratta di edifici vincolati dallo Stato. E in forza a questo vincolo, il proprietario è obbligato a conservare il bene per conto dello Stato a proprio spese e sotto la propria responsabilità penale. In cambio lo Stato riserva, ai beni vincolati, un trattamento impositivo meno oneroso. Che non basta, però. Perché le tasse sono rapportate alle dimensioni e non al reale utilizzo. Da un lato il vincolo come monumento nazionale testimonia la loro importanza per il patrimonio storico-artistico nazionale, dall’altro diventa un ostacolo.
Per capirci, non è possibile, ad esempio, frazionare un castello o vendere una parte degli spazi. O ristrutturarlo come se fosse un immobile qualsiasi. Ancora. Non si può vendere (ci sono i diritti di prelazione istituzionali da rispettare), difficilmente produce reddito e ha costi elevati per il mantenimento. Oneri, vincoli, consolidamenti, manutenzioni, restauri, spese. L’elenco è infinito. Insomma, non è detto che se doveste ereditare una masseria fortificata, abbiate fatto Bingo: più che una rendita potreste aver avuto un… onere perpetuo. Così molti beni vincolati vengono abbandonati e lasciati andare in rovina.
Uno studio della Fondazione Visentini su 3.300 dimore storiche italiane vincolate ha quantificato in 25mila euro l’anno la media dei costi per la manutenzione ordinaria e in 73mila le spese necessarie per quella straordinaria. Un report europeo ha stabilito che il patrimonio immobiliare storico soggetto a vincolo è costituito da 200mila beni culturali, 30mila dei quali privati. Solo nel 2018 l’impatto economico in questo settore ha mosso 52 milioni di visitatori per un fatturato di 335 miliardi di euro con la creazione di 9 milioni di posti di lavoro.
Tra le strategie di business e i modelli di gestione più attuali e appropriati, anche in Puglia, spicca l’utilizzo delle strutture per conferenze, set cinematografici, matrimoni, congressi, ospitalità. Ma questi introiti non assicurano la sostenibilità finanziaria.
La Regione allora, ha pensato di sostenere e di valorizzare anche questo patrimonio, destinando importanti risorse finanziarie grazie a due strumenti agevolativi il Pia Turismo e il Titolo II Turismo (affrontiamo l’argomento in maniera più dettagliata nell’apposita scheda). Antonio De Vito è il direttore generale di Puglia Sviluppo. Spiega: «Dopo l’avvio della sperimentazione targata 2007-2013, abbiamo perfezionato e migliorato gli strumenti finanziari a disposizione, aumentando le risorse. Il punto di partenza è il recupero dell’immobile esistente invece di incidere ulteriormente sul consumo del territorio e combattere il degrado dell’esistente. E, di conseguenza, agevolare gli investimenti per guardare sempre più lontano. Vogliamo estendere l’attenzione del recupero anche a quegli edifici partiti come attività turistiche, con regolare licenza edilizia ma rimasti a livello di rustico e a quelle criticità locali oggi abbandonate ma profondamente legate al territorio. Penso, ad esempio, ad una cantina sociale o ad uno stabilimento manufatturiero. Anche questa è storia da valorizzare. Frenando il processo di cementificazione che ha minato negli anni integrità ambientale, bellezza del paesaggio e sicurezza della salute». Due gli strumenti disponibili.
C’è il rischio di un duplicato? «No, perché cambiano i target di investimento. In questo modo abbracciamo tutto il segmento, mettendo a disposizione risorse importanti, fino a 40 milioni di euro e abbiamo un raggio d’azione praticamente illimitato, sia sotto il profilo temporale che sotto quello dell’utilizzo del bene, dalla ricettività alla cultura, allo sport. Insomma, una strumentazione inclusiva e strutturale, che coinvolge anche il settore bancario. Non si tratta di uno strumento spot, ma di una iniziativa durevole nel tempo. Ci interfacciamo con gli organismi di categoria e con gli ordini professionali, oltre a pubblicizzare le iniziative sui siti di comunicazione istituzionale. La nuova programmazione prevederà un ulteriore aumento di risorse».