la decisione

No dell'Europa ai soldi per Fse: «70mln per salvataggio potrebbero essere aiuto di Stato»

Massimiliano Scagliarini

La sentenza della Corte di Giustizia: «La vendita può essere annullata»

Il futuro di Ferrovie Sud-Est è nelle mani del Consiglio di Stato. La Corte europea ha bacchettato l’Italia per non aver comunicato a Bruxelles la decisione di stanziare 70 milioni di euro destinati, nella legge di Stabilità per il 2016, ad assicurare «la continuità operativa» della società all’epoca commissariata: soldi che, dicono i giudici di Lussemburgo, potrebbero costituire aiuto di Stato, ed essendone stata omessa la notifica devono «essere considerati illegittimi».

La palla torna però ai giudici di Palazzo Spada, nell’ambito del ricorso presentato da Arriva Italia, Ferrotramviaria e Cotrap: la cordata che ha cercato di acquisire Sud-Est dal ministero delle Infrastrutture, e che si è rivolta ai giudici amministrativi per tentare di bloccare il decreto di trasferimento della società barese al gruppo Fs. Dopo il «no» del Tar del Lazio, il Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte europea sia il quesito sulla possibilità che i 70 milioni vadano considerati aiuto di Stato, sia quello sul trasferimento senza gara della proprietà di Fse.

La questione giuridica è complessa e verte sul fatto che, dice l’Europa, proprio l’aver «ricapitalizzato» Sud-Est con 70 milioni ha reso più difficile l’ingresso di un possibile concorrente privato (Arriva e i suoi soci) nel mercato ferroviario pugliese. Le regole di Bruxelles prevedono che gli aiuti di Stato debbano essere preventivamente autorizzati dalla commissione Ue. Il ministero delle Infrastrutture ha puntato sul fatto che i soldi, in effetti, non sono stati erogati (il piano di concordato ne prevede l’utilizzo alla fine del salvataggio di Sud-Est), argomento ritenuto irrilevante. Tuttavia i giudici comunitari hanno lasciato aperto uno spiraglio.

Dovrà essere l’Italia a ripristinare il rispetto delle norme sulla concorrenza. «Nei limiti in cui le misure in questione dovessero essere considerate aiuti di Stato - è scritto in sentenza -, spetterà quindi al giudice del rinvio trarre tutte le conclusioni derivanti dal fatto che tali aiuti non sono stati notificati alla Commissione». E l’Italia ha una via d’uscita, ovvero dimostrare al Consiglio di Stato che quei 70 milioni sono stati previsti ed erogati «in base al criterio dell’investitore privato», cioè che «l’impresa pubblica beneficiaria di tale vantaggio» (i giudici dovranno stabilire se si tratti di Fse o del gruppo Fs) «avrebbe potuto ottenere in circostanze corrispondenti alle normali condizioni di mercato lo stesso vantaggio che le è stato messo a disposizione mediante risorse statali»: in altre parole, dimostrare che quei 70 milioni non sono un contributo a fondo perduto. Cosa che non si evince dagli atti finora prodotti.

Se questo non avverrà, l’Italia dovrà provvedere al «ripristino dello status quo ante» che non comporta solo sanzioni finanziarie ma «implicherà, se necessario, la revoca di tale trasferimento mediante la riassegnazione della partecipazione nel capitale di Fse al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nonché la neutralizzazione di tutti gli effetti di tale trasferimento». Significherebbe tornare indietro, facendo decadere anche il concordato preventivo. E sarebbe un pasticcio di dimensioni enormi.

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