«Come si fa a pensare a una nazione senza acciaio e una Puglia senza industria?». Angelo Mellone, tarantino trapiantato a Roma, dirigente Rai, è scrittore e saggista. Il suo ultimo libro, Fino alla fine. Romanzo di una catastrofe(Mondadori) ha in copertina gli altiforni di Taranto, mentre è autore di AcciaioMare (Marsilio), canto furente sull’industria che muore.
Mellone, lei è figlio di operaio (poi dirigente Italsider), che effetto le fa questa nuova inattesa crisi?
«Non sono sorpreso. Nel mio romanzo mi ispiro a “fatti veri che non sono ancora accaduti”, e per questo ipotizzo un epilogo doloroso per l’acciaieria. Pensavo di descrivere un futuro presente, e invece la storia è diventata un presente dispotico».
ArcelorMittal vuole lasciare Taranto.
«Era prevedibile. Si tratta della più grande multinazionale del mondo. Poteva avere solo due interessi: o produrre o fare in modo che non producesse lì un concorrente».
I livelli di produzione si sono andati riducendo mese dopo mese.
«Da sette anni l’Ilva viene bombardata. Ora perde terreno perché considerato uno stabilimento inaffidabile: tanti hanno rinunciato a dare commesse ad una fabbrica che non si sa se resta aperta domani».
Da qui arriva una incertezza generale.
«Taranto vale l’1,5 del pil nazionale, il 30% del pil pugliese, ma è stata trattata con superficialità dalle istituzioni, dalla politica, e dai movimenti ambientalisti che hanno diffuso una immagine mortifera della città, salvo poi voler scommettere sul turismo».
Il declino è inarrestabile?
«Taranto era la Milano del Sud ed è diventata la cifra del peggiore meridione piagnone e improduttivo, apocalittico».
I lavoratori?
«Dopo tante tribolazioni si sentono additati come assassini e sono sfiduciati. Ma non è vero che la fabbrica cade a pezzi: l’area a freddo è una eccellenza».
Il futuro della Puglia senza acciaio?
«Tutti affittacamere e camerieri per turisti. Utopia distorta. È una narrazione falsa: 200mila persone a Taranto camperanno di turismo culturale? La decrescita diventerebbe denatalità, fuga dei migliori».
Emiliano punta sulla decarbonizzazione.
«Può essere un pezzo della ambientalizzazione. Ma allora bisogna rivalutare il progetto Tap...»
Chi ha brillato per pressapochismo?
«Ci sono responsabilità storiche. Ci voleva un patto per l’acciaio pulito, ma al tempo dei social si insegue la soluzione immediata. Impossibile in questo caso. Costruire il futuro ambientalizzato della fabbrica richiede anni di impegno e il recupero dello spirito costruttivo di una città dell’innovazione. L’opposto dell’attuale laboratorio della paura».