L'inchiesta

Tra smottamenti e frane la costa arretra in tutta la Puglia

Gaetano Campione

Già modificati cinquanta degli 800 chilometri di litorale

BARI - C’è una Puglia che si sbriciola, frana, viene erosa dal mare. E scompare per sempre. Cinquanta degli 800 chilometri di costa, secondo gli esperti, sono interessati dal fenomeno che sta cambiando anche la fisionomia del paesaggio. Un po’ come avviene per gli ulivi divorati dalla xylella fastidiosa. In questo caso ad alterare le caratteristiche morfologiche ed ambientali, ci pensano il mare, il vento e le rilevanti trasformazioni antropiche prodotte negli anni: le abitazioni hanno preso il posto delle dune, rompendo l’equilibrio della natura, l’economia e lo sfruttamento del territorio hanno accentuato il fenomeno.

Così da un lato le spiagge svaniscono e i litorali arretrano, dall’altro le falesie sono a rischio sgretolamento. Dal Gargano al Salento, le criticità non cambiano Il campionario è vasto: frana, crollo, scivolamento, colamento, sprofondamento, smottamento. Dei circa 190 km quadrati di frane cartografate negli ultimi anni (1.259 eventi) solo il 10% interessa aree che si trovano al di sotto dei 400 metri di quota, il restante 90% è concentrato in una fascia di circa 4.000 km quadrati che comprende l’area dell’Appennino e del Subappennino, il promontorio del Gargano, le scarpate dell’alta Murgia e della Fossa bradanica ed alcuni tratti della fascia costiera interessati da fenomeni di crollo: sono 113mila i pugliesi esposti a frane e alluvioni, distribuiti sui 594 km quadrati di area a rischio catalogata come «molto elevata» o «elevata» che rappresenta il 3 per cento del territorio regionale (dati Ispra 2018, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).

In Puglia l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino meridionale si occupa di difesa del suolo, tutela delle acque, gestione delle risorse idriche ed ha il suo quartier generale nel parco tecnologico di Tecnopolis. Nel ruolo di segretario, Vera Corbelli, geologa. Lei e i suoi studiosi vigilano su 297 Comuni pugliesi, il 78 per cento dei quali è a rischio idrogeologico, con diverse pericolosità, da quella idraulica a quella geomorfologica.

Il Commissario straordinario - Poi c’è l’ufficio del Commissario straordinario per l’attuazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico. Una task foce di una ventina di esperti che fa capo all’ingegnere Elio Sannicandro, con l’obiettivo di calibrare gli interventi e ottimizzare le risorse disponibili. Una ventina gli elaborati progettuali avviati sul territorio pugliese. Senza dimenticare i Consorzi di bonifica, sempre al centro di polemiche legate a costi e utilizzo, impegnati comunque sul fronte del dissesto idrogeologico con la manutenzione delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere idrauliche. Un segnale dell’attenzione istituzionale al problema, ma anche della complessità burocratica delle competenze per la realizzazione degli interventi. La pianificazione degli interventi ordinari non è semplice, se si vuole legare il carattere straordinario solo quando si verificano eventi climatici eccezionali. La politica «assistenziale» del rammendo, a volte, piace di più, è più efficace, alla fine accontenta tutti. Siamo una regione fragile e con la memoria corta perché il problema del dissesto ci accompagna da tempo immemorabile, ci viene ricordato quasi ogni anno, con l’aggiunta degli effetti sempre più distruttivi dei cambiamenti climatici e di una espansione urbanistica che spesso non ne tiene conto.

I fondi nazionali ed europei - Eppure i fondi nazionali ed europei funzionano da volano a questa nuova sensibilità a difesa del nsotro ambiente. Che ha bisogno di una visione strategica, d’insieme, per programmare e ripristinare la funzionalità idrica del territorio, minaccia numero uno quando si parla della Puglia che sprofonda. Uno dei problemi è l’approccio alla questione. Bisogna migliorare l’esistente o intervenire radicalmente con nuove iniziative? La vicenda della strada regionale 1 è emblematica. L’opera collegherebbe i caselli autostradali di Candela e Poggio Imperiale, migliorando la viabilità dei piccoli Comuni del territorio e favorendone un miglior accesso per residenti e turisti. Ma l’infrastruttura costeggia il Subappennino dauno, zona tradizionalmente caratterizzata da frane e smottamenti. Conviene, allora, rispolverare e attuare il progetto del 2011, impegnando somme di danaro importanti, senza dimenticare nel tempo le spese legate alla manutenzione, oppure mettere in sicurezza quello che c’è? Fino a quando c’erano i boschi, il terreno non si muoveva. Quando si è deciso di privilegiare, ad esempio, le coltivazioni di grano, con la Comunità europea che metteva a disposizione copiosi incentivi, l’equilibrio naturale si è alterato e il terreno si alza e si abbassa, quando piove, come una fisarmonica. Volturara Appula, San Marco La Catola, Celenza Valfortore sono in perenne equilibrio tra movimenti franosi profondi e interventi di salvaguardia.

Il caso di Polignano - Nel Barese è emblematico il caso di Polignano, il cui centro abitato si sviluppa lungo la costa su una falesia di roccia calcarea. Grotta Palazzese e lama Monachile su tutte, sono monitorate costantemente e interessate a lavori di consolidamento. Interventi molto delicati, non tanto da un punto di vista tecnico, quanto per l’armonizzazione con la natura circostante per ridurre al minimo l’impatto ambientale: stabilità e bellezza spesso non vanno d’accordo. Criticità anche sul litorale salentino adriatico, dove tra Santa Cesare Terme, Roca, torre dell’Orso, Otranto, la costa si consuma anno dopo anno. Aree transennate, zone interdette alla balneazione e lavori infiniti, creano danni soprattutto all’economia del territorio. La stazione idrotermale in fondo allo Stivale, per alcuni versi, è il simbolo delle contraddizioni che si vivono quando si decide di intervenire. Infatti, una parte del lungomare è transennata da un vero e proprio muro di lamiera, tra località Archi e Fontanelle, dove spicca un cartello con scritto: inizio lavori 9 ottobre 2018, ultimazione lavori 11 aprile 2021. Poi, il nulla: niente mezzi, niente operai, cantiere fermo. Da palazzo di Città fanno sapere che visto il numero elevato di competenze istituzionali i vari enti sono impegnati ad effettuare una serie di verifiche e di sondaggi. I residenti e i turisti però giurano, finora, di non aver mai visto nessuno con tuta e caschetto. Il mistero resta. Come i malumori per una stagione compromessa e limitata dai divieti. Non va meglio a porto Miggiano tra sequestri, dissequestri, udienze in Tribunale e lentezze. Qui il fai da te imperversa: la gente si organizza e raggiunge a piedi la caletta mettendosi in coda come gli sherpa tibetani.

Le cavità naturali - Ma c’è anche una Puglia in bilico perenne sulle cavità naturali (2mila quelle carsiche censite) o artificiali, realizzate dall’uomo, come le cave sotterranee per l’estrazione di materiale da costruzione dal sottosuolo, spesso lunghe diversi chilometri. Questi sistemi di gallerie, che possono anche essere adibiti ad attività lavorative (frantoi, produzione di ceramiche, depositi, cantine) caratterizzano i territori di Canosa, Barletta, Capurso, Altamura, Andria, Cutrofiano, Gagliano del Capo, San Marco la Catola, Grottaglie. Non c’è da essere allegri. Dalle frane, all’erosione delle coste, altro settore critico. La Puglia è al terzo posto nella hit-parade italiana elaborata da Legambiente col 65 per cento del litorale che soffre di erosione costiera. Giuseppe Mastronuzzi è un geomorfologo dell’Università di Bari che si occupa di monitorare e studiare il fenomeno. I dati ricavati delineano una situazione allarmante: le spiagge di casa nostra arretrano di 10 metri ogni anno. Le cause? Innanzitutto l’innalzamento del mare che negli ultimi mille anni si è sollevato di 15 centimetri. Poi, l’impatto antropico sulle aree di alimentazione delle spiagge con la realizzazione di opere di regimazione fluviale e di consolidamento dei versanti (dighe, bretelle, derivazioni) o di opera a difesa di strutture costiere (i tradizionali frangiflutti o i pennelli di protezione). Non è tutto oro quello che luccica. Perché così facendo si creano anche danni collaterali come la riduzione dell’alimentazione delle spiagge e lo svuotamento dei fondali delle coste confinanti. Come è accaduto in passato, ad esempio, per Torchiarolo e per le sue marine, al centro oggi di un articolato piano di recupero costiero. Mareggiate, fenomeni alluvionali sempre più frequenti e il riscaldamento globale prospettano un quadro a medio termine inquietante. Entro il 2100 il mare si alzerà, nella migliore delle ipotesi di 30 centimetri, nella peggiore di un metro e mezzo. Che significa una vera e propria invasione delle acque e di una parte di costa: onde alte 6 metri al largo del golfo di Taranto sarebbero in grado di sommergere 15 metri di litorale. Senza dimenticare la minaccia tsunami, meno probabile ma pur sempre possibile, soprattutto in Italia meridionale, Puglia compresa.

Ecco perché i ricercatori baresi e salentini dei due Atenei hanno studiato un sistema (Start) di controllo del territorio costiero e marino in grado di prevedere i rischi e di sviluppare interventi preventivi. A patto che le politiche di salvaguardia ambientale e di sostenibilità non restino, come spesso accade nel Belpaese, solo sulla carta.
Anche l’Enea concorda con questa analisi, ha elaborato una serie di proiezioni e ha aggiornato la mappa delle zone a rischio inondazione (37 in tutta Italia): in Puglia le aree di Lesina, di Manfredonia e di Taranto sono da bollino rosso, come i porti di Bari, Brindisi e Taranto. C’è una Puglia destinata a finire sott’acqua? Sembra proprio di sì. O quantomeno nel giro di qualche decennio non sarà più come la vediamo ora. Il tempo per costruire difese di fronte al mare che sale non manca. Sperando che gli studi di previsione abbiano creato la giusta consapevolezza del rischio nei livelli decisionali istituzionali. La scienza (l’Ordine regionale dei geologi è in prima fila in questa campagna di sensibilizzazione) ci racconta come ormai molte dinamiche siano inarrestabili. In Puglia sono stati urbanizzati ben 454 degli 810 chilometri (il 56 per cento) di costa, tra interventi legali e abusivi. Dati sui quali riflettere seriamente.

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