Il caso Meredith Kercher

Giustizia, la versione di Sollecito «L’America ha difeso Amanda»

Michele De Feudis

L’ingegnere di Giovinazzo si racconta a la Gazzetta: «Io aiutato da nessuno»

BARI - Al Festival della giustizia penale di Modena la scena è stata tutta per Amanda Knox. Raffaele Sollecito, l’ingegnere barese imputato con l’americana di Seattle nel processo per l’omicidio dell’inglese Meredith Kercher, non è stato invitato. «Non sono andato a salutare Amanda perché non ero tra i relatori, nonostante della vicenda sono stato uno degli sfortunati protagonisti», spiega alla Gazzetta prima di fornire la sua versione sul nuovo clamore mediatico legato al ricordo della vicenda di Perugia. Amanda e Raffaele sono stati assolti con una sentenza della Cassazione per non aver commesso il fatto. L’unico condannato per la morte della giovane anglosassone è stato Rudy Guede. Raggiungiamo il giovane barese telefonicamente a Milano, dove è alle prese con l’impegno in un nuovo percorso professionale.

Sollecito, si attendeva questo clamore per il ritorno di Amanda Knox, ospite d’eccezione al Forum dei penalisti?
«Ne ero certo. C’è sempre stato interesse notevole su questa storia. Il popolo è stato attento alle nostre facce “da bravi ragazzi” coinvolti in questa storia di sangue. È come una soap opera che attira la curiosità della gente».

I social sono tornati a registrare voci dissonanti sulla vostra storia giudiziaria.
«Le persone che ci offendono sui social, ci attaccano per un senso di invidia ingiustificabile. Non hanno alcuna conoscenza dei nostri drammi. Ci ho fatto il callo».

Anche a questa notorietà a cui condannato?
«C’è gente che mi avvicina amichevolmente, altri mi contattano in privato per dirmi cose peggiori e certe volte, se sono di vena, rispondo per le rime. C’è chi mi insulta con vecchio humor e a volte ci rido su».

Ha sentito Amanda in questi giorni?
«L’ho chiamata dopo il convegno. Mi è dispiaciuto molto vederla sofferente. Lei, appena siamo stati assolti, è tornata negli Usa. Ha vissuto la sua vita in un paese che l’ha accolta per quella che è, senza pregiudizio».

Nel suo caso, dopo l’assoluzione, che è successo?
«Non abbiamo una cultura patriottica come gli Usa. Gli italiani non sono stati solidali con me come gli americani nei suoi confronti. Le persone più vicine mi hanno compreso, ma la massa assolutamente no».

Amanda ha detto “non sono un mostro”. C’è ancora chi usa nei vostri confronti questa parola?
«Sono abbastanza stanco. Ho letto dichiarazioni assurde del pm Giuliano Mignini che dice che ci sono dubbi sulla nostra storia. O altre considerazioni del presidente Piercamillo Davigo, magistrato di Cassazione, che potrebbero generare incertezze. Sono cose squallide e pericolosissime. Al dottor Mignini faccio presente che la Cassazione ha “cassato” la sentenza di Firenze con la nostra condanna. Nelle motivazioni si parla di «défaillance investigative», di «deprecabile pressappochismo nella fase delle indagini preliminari». La Cassazione, in sintesi, ha cancellato la condanna del tribunale toscano per grandi contraddizioni logiche da una pagina all’altra. Oltre gli errori investigativi c’erano solo congetture…».

Come spiega le ritrosie ad accettare la sentenza definitiva di assoluzione?
«Siamo stati considerati “mostri”, metastasi del cancro. Amanda è stata definita una manipolatrice che gestisce la vita degli altri, ma sono stupidaggini. Qualcuno tira fuori la condanna di Rudy Guede per omicidio in concorso. Ma le nostre difese auspicavano che l’ivoriano fosse processato con noi. Guede è stato condannato - con il concorso - prima della fine del nostro processo, mentre noi eravamo ancora in primo grado…».

Delle giornate convulse dopo l’omicidio della giovane inglese cosa ricorda?
«Io e Amanda eravamo sotto pressione. Stavo preparando la tesi, ero molto preso. Amanda aveva la sua coinquilina uccisa. Non sapevo come comportarmi. Non sapevo come prendere le cose. Lei aveva i genitori a distanza, cercavo di supportarla».

La tragedia di Meredith…
«Mi addolora solo il pensiero, ma io - in quel frangente - non avevo notizie della barbarie che ha subito, una ferocia terribile subita per l’impeto - secondo la ricostruzione dei miei consulenti -. È stata colpita alle spalle, di sorpresa. Ha cercato di divincolarsi dalle minacce di Rudy portate con il coltello, che poi l’ha colpita a casaccio».

Incontrerebbe anche lei, come Amanda, il pm del processo di Perugia?
«L’ho già incontrato. Il dottor Magnini non mi ha mai parlato perché si sente al di sopra di tutto. Gli chiarirei, se ha ancora dubbi, quello che lo porta ad essere minaccioso e assolutamente inopportuno. Il pm ha perso nel processo. In un paese culla del diritto un pm che ha “buttato” in galera innocenti - poi assolti- non dovrebbe più esprimersi in maniera così tranchant. Dovrebbe ammettere i suoi errori».

Prova rancore nei confronti del mondo mediatico?
«Il giornalismo di cronaca è stato nel nostro caso propaganda delle ipotesi della procura. Ho amarezza nei confronti delle istituzioni del mio paese. Nessuno mi ha chiesto scusa per come mi hanno trattato, non sono mai stato risarcito. Ho subito un danno immenso e nessuno mi ha aiutato, tranne i miei famigliari e gli amici».

Come si è congedato da Amanda?
«Mi dispiace di non esser stato a Modena. Per andare come spettatore non potevo spostare i miei impegni professionali. Mi ha detto che ha intenzione di tornare in Italia, in quel caso sarò lieto di vederla».

Questa vicenda continuerà a segnare la sua vita?
«L’Italia deve rispettare non solo le sentenze, ma anche i cittadini. Quello che è successo a me e Amanda, è successo ad altri cittadini, nel disinteresse di tutti. La nostra disavventura dovrebbe essere un monito, mentre sembra quasi che si voglia dare ragione ai magistrati, le cui tesi sono state smontate dai vari tribunali, fino alla Cassazione. Non parliamo di una partita di calcio, ma di vite spezzate, troppo spesso trattate con leggerezza…».

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