La sentenza a Bari
Medico del lavoro nonostante fosse docente all'Università: dovrà risarcire 121mila euro
Marina Musti, primario di Medicina del Lavoro al Policlinico, era già stata condannata in primo grado per truffa
Svolgeva la libera professione come medico del lavoro, nonostante il ruolo di docente dell’Università di Bari e di direttore di unità operativa del Policlinico con rapporto di esclusiva. Alla professoressa Marina Musti, che per questo motivo nel 2015 venne interdetta dall’attività lavorativa, non è bastato nascondersi dietro lo schermo di una società a responsabilità limitata: per la Corte dei conti ha infatti provocato alle casse pubbliche un danno da 121mila euro che dovrà essere risarcito.
La sezione giurisdizionale pugliese della magistratura contabile (presidente Romanelli, estensore De Corato) ha infatti accolto la gran parte delle richieste del vice-procuratore generale Stefano Petrucci sulla base dell’atto di citazione predisposto all’epoca da Pierpaolo Grasso sulla base di un articolo di giornale in cui si dava conto, appunto, dell’inchiesta penale a carico della Musti, docente di Medicina preventiva e direttore della Medicina del lavoro universitaria presso il Policlinico di Bari.
Una inchiesta basata sull’indagine della Finanza, che aveva accertato come la docente (autorizzata soltanto all’attività libero-professionale ospedaliera, la cosiddetta intra-moenia) tra 2009 e giugno 2014 avesse svolto incarichi di medico competente per conto di grandi aziende tramite una società chiamata Ergocenter, amministrata dal marito e posseduta al 50% con il figlio: tra i suoi clienti (tutti estranei a ogni addebito) c’erano Intesa San Paolo, Rinascente e Allianz. La docente aveva effettuato migliaia di visite (2.200 per il solo gruppo bancario), spesso fuori sede, anche in giorni in cui risultava in malattia oppure impegnata in attività didattica. In questo modo - secondo l’informativa della Finanza - Musti aveva percepito «ingenti redditi di capitale», e poteva utilizzare la carta di credito della Ergocenter addebitando all’azienda anche l’acquisto di beni personali.
La Procura contabile aveva chiesto un risarcimento di circa 420mila euro, ma i giudici hanno ridotto il danno alla sola voce relativa alle differenze retributive percepite in quanto medico a tempo pieno (con la relativa indennità di esclusiva. In questo senso, non è significativo che la Musti - come obiettato dai suoi difensori - non abbia percepito compensi né dalla Ergocenter né direttamente dalle società private: e questo sia perché la legge pone un divieto assoluto a prescindere dal compenso, sia perché «in caso di risultato positivo della gestione economica ne è derivato, pur sempre, anche in ipotesi di mancata distribuzione degli utili conseguiti, un incremento patrimoniale per la stessa società (la Ergocenter, ndr) e, quindi, un arricchimento per sé».
L’esame dei bilanci della società di famiglia ha fatto infatti emergere l’esistenza di riserve per oltre 1.250.000 euro. «Diversamente - è detto ancora in sentenza - riuscirebbero difficilmente a comprendersi i motivi per cui la convenuta si sottoponesse a siffatta durevole e aggiuntiva attività professionale fuori regione senza trarne alcun beneficio economico». I giudici non hanno ravvisato invece il danno per i circa 6mila euro percepiti nei giorni in cui la docente risultava in malattia ma effettuava visite fuori Bari, perché i professori universitari hanno solo l’obbligo di svolgere un numero minimo annuale di ore di docenza che nel caso specifico era stato raggiunto.
A febbraio 2017 i giudici contabili avevano disposto in danno della Musti un sequestro conservativo per 353mila euro, che segue il sequestro penale (su un immobile del valore di 120mila euro) emesso a dicembre 2015 insieme all’interdizione per 9 mesi. In primo grado la docente è stata condannata dal Tribunale di Bari per truffa e assolta per tutte le altre imputazioni (compresa quella di stalking ai danni di un tecnico di laboratorio), la difesa ha fatto appello