La sentenza

Nardò, invalido per un cesareo finito male: Asl risarcirà 2 mln

francesco oliva

In appello i giudici danno ragione a una famiglia salentina: i fatti risalgono al 1980. L'uomo ha riportato una grave malattia neurologics

Un maxi risarcimento per una patologia contratta alla nascita. La Corte d’Appello ha condannato l’Asl di Lecce a risarcire un 37enne di Nardò e la sua famiglia con 2 milioni di euro. I fatti risalgono a molti anni fa. All’estate del 1980 per la precisione quando la madre del giovane, al termine della terza gravidanza, inizia ad avvertire “le doglie”. Dopo una serie di ricoveri, dimissioni e accertamenti incompleti, il 14 agosto, il bambino viene alla luce con un parto cesareo per la rottura spontanea del sacco amniotico. Nei primi anni di vita, il piccolo manifesta ricorrenti crisi convulsive con iperpiressia. Le insegnanti della scuola materna segnalano una “mancanza di partecipazione e di socializzazione”. Nel settembre del 1986 (a soli 6 anni) il ragazzo incomincia a manifestare problemi psicomotori. Serviranno una lunga serie i accertamenti medici per arrivare ad una diagnosi definitiva: “encefalopatia fissa epilettogena” con caratteri di irreversibilità. Viene così istruito un giudizio civile in cui gli attori, assistiti dall’avvocato Francesca Conte, citano l’Asl.

Per i familiari del 37enne la causa delle lesioni “si deve individuare nello stato di grave sofferenza per insufficiente ossigenazione determinata dalla permanenza del feto nel grembo materno oltre il termine e ciò a causa del grave ritardo con cui veniva effettuato il cesareo”. Il giudizio di primo grado di fonda sugli esiti di una consulenza per verificare l’esistenza di “un nesso causale tra la patologia da cui risulta affetto il giovane e la sofferenza fetale occorsa in occasione del parto, con specifico riferimento alla tempestività del taglio cesareo”, nonché “la natura e l’entità delle lesioni riportate quantificandone i postumi permanenti invalidanti”. Con la sentenza del 2 maggio del 2005 il Tribunale rigetta la domanda degli attori rilevando che subito dopo la nascita il feto non presentava segni di sofferenza cardiorespiratoria e neurologica.

La vicenda approda davanti ai giudici d’appello. Il collegio dispone una nuova consulenza tecnica collegiale e nel maggio del 2013 rigetta il ricorso ritenendo di dover aderire alle conclusioni cui erano pervenuti i consulenti di primo grado. La “battaglia”, però, prosegue. La sentenza della Corte di Appello, impugnata dagli attori, viene annullata con rinvio dalla Cassazione.

La Suprema Corte, nel ricostruire la vicenda, sottolinea che la donna si era recata in ospedale insistendo per essere sottoposta al parto cesareo che venne eseguito, a distanza di oltre una settimana, solo dopo la rottura del sacco amniotico. Gli ermellini osservarono come la Corte di Appello non aveva espresso una sua valutazione autonoma ma aveva recepito acriticamente le conclusioni dei consulenti esprimendosi nel senso di una “non raggiunta certezza”. Il giudizio è stato così istruito nuovamente davanti alla Corte d’Appello.

Nella consulenza si è dato atto del fatto che la documentazione esaminata per dare risposta ai quesiti era “scarsa”, così da rendere non agevole “la ricostruzione degli eventi oltre che la identificazione”. In conclusione, a dire dei giudici, la possibilità che il danno sia stata conseguenza di un ritardo da parte dei sanitari dell’ospedale di Nardò nell’eseguire il parto cesareo, l’impossibilità di individuare una diversa causa della patologia, può ravvisare una responsabilità diretta della struttura sanitaria. [f.oli.]

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