giustizia

Il Riesame di Bari scarcera l’albanese Rameta, arrestato dopo un tentativo di agguato: indizi non sufficienti

redazione foggia

Non si può provare che Erjon Rameta, ritenuto vicino ad ambienti della mafia foggiana, si sia disfatto della pistola durante l’inseguimento della Polizia

FOGGIA - Non ci sono sufficienti indizi per sostenere che Erjon Rameta, 37 anni, pregiudicato albanese residente a Foggia ritenuto vicino ad ambienti della mafia cittadina, si sia disfatto della pistola durante l’inseguimento della Polizia. L’ha deciso il Tribunale della libertà di Bari accogliendo il ricorso dell’avvocato Ettore Censano e scarcerando l’indagato.

Rameta fu arrestato la mattina del 14 luglio insieme a Leonardo Russo, ventenne del capoluogo, con l’accusa di concorso in porto, detenzione illegale e ricettazione di una pistola «Beretta» calibro 7.65 con 5 proiettili nel caricatore e i numeri di matricola limati. Le motivazioni del provvedimento di scarcerazione saranno depositate nelle prossime settimane. I tre giudici del Riesame hanno annullato l’ordinanza del gip del Tribunale dauno che convalidò l’arresto, accolse la richiesta del pm e dispose il carcere per i due presunti pistoleri: inizialmente furono posti ai domiciliari in occasione dell’arresto in flagranza.

Quanto a Russo, il ricorso per la scarcerazione verrà discusso nelle prossime settimane: è difeso dall’avvocato Fortunato Rendiniello. Sia Rameta (arrestato ad aprile 2020 e scarcerato da poco dopo aver scontato 6 anni ridotti per buona condotta per aver piazzato nel 2019 e 2020 due bombe davanti a un pub e un centro diurno per anziani), sia Russo (arrestato nel febbraio 2022 quand’era minorenne per concorso in un attentato dinamitardo a un pub) sono ritenuti contigui al mondo della Società foggiana.

Alle 7 del 14 luglio una volante della Questura incrociò in via Guido D’Orso uno scooterone Yamaha T-Max con due persone con caschi con visiere oscurate. I due centauri parcheggiarono il mezzo davanti a una palazzina di via La Piccirella, entrarono nello stabile inseguiti dagli agenti che chiesero rinforzi e sul posto giunsero squadra mobile e carabinieri. «I due soggetti entrati nel palazzo con ancora i caschi addosso», si legge nel verbale d’arresto, «alla vista degli agenti sono scappati verso i piani superiori». «Al secondo piano uno dei due ha gettato a terra una pistola, prima d’essere bloccati al terzo piano. Viste le circostanze di tempo e di luogo non si è stati in grado di notare chi dei due soggetti abbia gettato la pistola; nello stabile non c’erano altre persone se non al piano terra un uomo», identificato in un foggiano di mezza età ferito nove anni fa in un agguato collegato alla guerra tra clan ed estraneo alla vicenda.

Interrogati dal gip, Rameta e Russo si avvalsero della facoltà di non rispondere. Il gip dispose per entrambi il carcere ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza «desumibili dal comportamento dei due indagati che si sono dati alla fuga e dalla circostanza che la pistola è stata trovata lungo le scale. Nessuna persona con un minimo di avvedutezza avrebbe lasciato lì un’arma per lungo tempo, a meno che non avesse fretta di disfarsene come nel caso di una persona che viene inseguita».

Nel discutere in camera di consiglio davanti al Tribunale della libertà la richiesta di scarcerazione di Rameta, l’avvocato Censano ha rimarcato che per stessa ammissione dei poliziotti non si sa chi dei due indagati si sia disfatto della pistola: non c’è quindi prova che si trattasse dell’albanese. Anche ammesso e non concesso poi che Russo fosse armato, non ci sono elementi per ipotizzare che Rameta sapesse che l’amico aveva una pistola, per cui non regge l’accusa di concorso nel possesso illegale dell’arma. Accolta la tesi difensiva, Rameta è tornato libero dopo due settimane di detenzione.

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