La condanna

Cerignola, neonato morto durante il parto: la Cassazione non salva l’ex sindaco

Redazione Foggia

Bocciato il ricorso del medico Antonio Giannatempo, condannato a 18 mesi. Lui si è sempre dichiarato innocente ma per il giudici ha estratto male il piccolo

CERIGNOLA - La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa e reso definitiva la condanna a un anno e sei mesi (pena sospesa) di Antonio Giannatempo, 74 anni, medico cerignolano che fu anche sindaco della cittadina del basso Tavoliere, accusato di omicidio colposo per la morte di un neonato deceduto il 9 novembre 2013 durante un parto cesareo all’ospedale «Tatarella»: l’imputato dirigeva il reparto di ostetricia e ginecologia. L’accusa gli contesta d’aver eseguito in maniera errata l’estrazione del bimbo causandone il decesso; il professionista si dice innocente e secondo la difesa il bimbo morì per un’asfissia conseguenza della rottura della placenta.

La sentenza di primo grado del giudice monocratico di Foggia del novembre 2020 fu confermata il 9 maggio 2022 in corte d’appello. L’avvocato Roberto Sisto chiedeva alla Cassazione di assolvere Giannatempo o di annullare il verdetto e ordinare la celebrazione di un nuovo processo di secondo grado. Per il procuratore generale il ricorso era inammissibile, dello stesso avviso il legale di parte civile, l’avvocato Francesco Santangelo, il quale ha avviato anche una causa civile contro medico e Azienda Sanitaria Locale per conto di madre, 2 zii e nonna del bambino purtroppo decesso.

La Procura contesta che il dott. Giannatempo «omise di effettuare un’adeguata valutazione dell’incisione uterina rispetto alle dimensioni del feto prima di iniziare le manovre di estrazione; omise di effettuare una isterectomia necessaria per estrarre il feto senza traumi; mise in atto una manovra eccessivamente energica di torsione del braccio destro e di tensione-torsione tra corpo e collo, procurando frattura dell’omero e compressione dei vasi sanguigni del collo, e quindi l’interruzione del flusso sanguigno e una grave emorragia subdurale che determinarono il decesso».

Il medico cerignolano replicò alle accuse rispondendo alle domande di pm e difensori nel processo a Foggia; spiegò che il giorno della tragedia non era di turno in sala operatoria; che la partoriente non era sua paziente ma era già in sala operatoria quando lui vi giunse per occuparsi del parto di una sua paziente a rischio rottura dell’utero, ragion per cui si occupò del parto cesareo, controllando il tracciato e accorgendosi di una decelerazione del battito fetale tardiva: significa che il feto è in sofferenza perché arriva una quantità di ossigeno inferiore. Non furono quindi le manovre del medico - la tesi difensiva - a causare la frattura dell’omero durante la fase di estrazione del feto, rottura avvenuta quando il medico cercò di rianimare il bimbo con il massaggio cardiaco.

Decisive consulenze e perizia medica. Secondo i consulenti del pm il bimbo era sano e l’emorragia con conseguenti danni cerebrali fu causata da un’errata conduzione del parto; per i due consulenti della difesa nessuna colpa dell’imputato, perché il decesso fu provocato da un distacco della placenta nell’intervallo di tempo tra tracciato e intervento, per cui il bimbo morì per asfissia neonatale. I due periti nominati in primo grado individuarono nell’emorragia subdurale la causa del decesso.

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