guerra tra clan
Foggia, odio ed omicidi: il piano della «Società» per vendicare Rodolfo Bruno
Dopo l’arresto di Valletta e Gaeta nell’ambito di una operazione della squadra mobile coordinata dalla Dda
FOGGIA - Si controllano (“mi marca quel figlio di p…”); si preoccupano (“tu mo’ apri gli occhi”); si apprestano a colpire (“prepara le maschere, ce lo dobbiamo risolvere subito”); si alleano (“abbiamo bisogno per forza di uno di voi”); si cautelano (“non mi far fare nomi al cellulare”); si sparano e/o progettano di farlo (“uccidiamo al vecchio”); si rimproverano per l’agguato fallito (“per non sentire a me…”); se la prendono persino con il Covid (“se non c’era il coronavirus lo avevo già ucciso”); si giurano vendetta (“ce l’avevano a morte per il fatto di Rodolfo Bruno”); si rassicurano quando sopravvivono (“un altro cavallo si è salvato”). Raccontano uno spaccato del mondo della “Società”, tra odio e affari, progetti di morte e timore di morirei, gli atti dell’inchiesta di Dda e squadra mobile basata su intercettazioni, chat, rivelazioni del pentito, sfociata il 3 giugno nell’arresto di Nicola Valletta, 36 anni, foggiano e Andrea Gaeta, 51 anni, di Orta Nova, cugino e cognato del capo-clan Pasquale Moretti.
Valletta quale esecutore, e Gaeta quale concorrente morale sono accusati del duplice tentato omicidio aggravato dalla mafiosità di Ciro Stanchi e del cognato Alessio Di Bari, scampati alla morte il 30 settembre 2020 quando su viale Europa da uno scooterone due pistoleri (uno sarebbe Valletta, ancora ignoto il conducente) fecero fuoco contro la “Fiat Panda” su cui viaggiava Stanchi vittima designata per la sua presunta appartenza al clan Sinesi/Francavilla rivale storico dei Moretti: l’agguato era una vendetta per l’omicidio di Rodolfo Bruno, il cassiere del clan Moretti ucciso da tre sicari ancora ignti il 15 novembre 2018 mentre giocava alle slot machine in un bar sulla circumvallazione.
Rodolfo Bruno, dicono pm e poliziotti, sapeva d’essere nel mirino dei rivali, forse era sfuggito a un agguato ma non avrebbe temuto per la propria vita. Nel delineare le rivalità tra clan della “Società”, il gip di Bari Paola Angela De Santis nell’ordinanza cautelare a carico di Gaeta e Valletta sottolinea infatti che “in una conversazione intercettata del 28 marzo 2018 Francesco Abruzzese chiese a Massimo Perdonò” (ritenuti affiliati al clan Moretti e condannati nei processi Decima azione e Decimabis contro la mafia del pizzo, sentenze non definitive) “se era tutto a posto; Perdonò rispose no, aggiungendo che era necessaria la presenza degli esponenti della batteria sul territorio per affermare la loro predominanza. Perdonò riferì che stavano ammoccando, cioè uccidendo, il loro amico Rodolfo Bruno; disse d’essersi sentito nei giorni precedenti con Bruno che gli aveva detto che lo volevano fare. Perdonò riferì anche che al lepre” (soprannome di Vito Bruno Lanza al vertice del clan) “era stato riferito che Bruno era scampato a un agguato e gli avevano detto che un altro cavallo si è salvato”.
Che Bruno fosse nel mirino dei rivali - la pista investigative è di un omicidio deciso e attuato da un gruppo di scissionisti del clan Sinesi/Francavilla - lo confermerebbe un colloquio del 27 marzo 2019 tra Valletta e Pasquale Moretti, in cui si commentò la morte di Bruno, Valletta riferì al capo-clan d’aver saputo che Bruno rischiava la vita; di averci parlato qualche giorno prima della sua morte per sapere se ci fossero problemi, ma nonostante ciò era poi andato senza problemi nel bar dove aveva incontrato la morte. Così l’intercettazione: “tre giorni prima sono andato da lui, oh come stanno i fatti là? E lui era sicuro, che me ne devo fare” (la risposta di Bruno). “E poi vai alla benzina facile facile sulla circumvallazione, ho detto mah”.
Dell’omicidio Moretti parlò il 28 marzo 2020 con Savino Ariostini elemento di spicco del clan; Moretti nel colloquio intercettato grazie alle microspie “informò Ariostini della conversazione del giorno prima con Valletta e lo rimproverò di non essere intervenuti in tempo per evitare la morte di Bruno, perché quando avevano capito che la situazione stava per degenerare in seguito al ferimento di Antonello Frascolla del 28 ottobre 2018” (gambizzazione che diede il via alla scia di sangue) “dovevano intervenire per placare la situazione”.