Processo «decimabis»
Foggia suddivisa in tre zone per spartirsi i soldi del racket
Depositate nuove intercettazioni, i primi dialoghi hanno portato a 28 condanne e 203 anni di carcere. Altri vanno a 13 processo
FOGGIA - «Noi non possiamo fare che loro si fanno il loro e noi ci facciamo il nostro. Lo sai quando si può fare questo discorso che ognuno si vede il proprio? Quando la città la tieni divisa in tre zone: la mia, la tua, la sua; e allora dici che quello che riesci a fare tu nella zona tua è tuo. Ma a Foggia non è cosi, non si può fare: nel Sistema è così. In mezzo alla strada sono stati uccisi i cristiani, e tu lo sai chi è stato ucciso? Quelli che hanno tenuto il Sistema in mano e i soldi. Noi invece se prendiamo cento lire la dividiamo fra tre persone».
Così parlarono due mafiosi intercettati nell’inchiesta “Decimabis”: 44 arresti tra novembre e dicembre 2020; 41 imputati; 28 condannati a oltre 203 anni nell’ottobre scorso dal Gup di Bari nel processo abbreviato; per altri 13 processo in corso davanti alla sezione collegiale del Tribunale a Foggia, dove il perito fonico ha ora depositato la trascrizione di un centinaio di captazioni, incarico affidatogli a giugno 2021.
Quel colloquio intercettato svelò l’accordo raggiunto fra i tre clan della “Società foggiana”, ciclicamente attraversata da guerre di mafia su chi comanda e deve gestire l’affare estorsioni. Meglio mettere rivalità da parte e creare una cassa comune dove far confluire i proventi illeciti di racket e spaccio di droga, quantificati da un pentito in 220mila euro al mese: soldi che attraverso il Sistema venivano distribuiti a tutte le batterie e destinati a pagare stipendi a affiliati, mantenere le famiglie dei detenuti, sostenere le spese legali, reinvestirli in acquisti di droga e prestiti a usura.
Le intercettazioni sono state decisive, come le dichiarazioni di una mezza dozzina di pentiti, a svelare affari e strategie della mafia cittadina. L’ha sottolineato il Gup di Bari Valeria Isabella Valenzi che il 18 ottobre scorso ha condannato a oltre 203 anni di carcere i 28 imputati di “Decimabis” che scelsero il giudizio abbreviato. Nel motivare le condanne ha scritto che «come di consueto i più rilevanti e numerosi elementi a carico degli imputati provengono dalle intercettazioni telefoniche, telematiche e tra presenti, cui devono aggiungersi le connesse attività di geolocalizzazione».
I clan Moretti/Pellegrino/Lanza; Sinesi/Francavilla; e Trisciuoglio/Tolonese si spartirono la città, con estorsioni a tappeto a tutte le categorie produttive che portavano e portano soldi contanti in cassa e garantiscono il controllo del territorio. «Si dividono i compiti: qua andate voi, qua andiamo noi, e qua vanno loro», racconta un’altra intercettazione. «Andiamo insieme? No, a questo punto sta la fiducia tra noi: o andate voi, o andiamo noi e poi apparecchiamo la lista», l’elenco delle vittime da spremere. E ancora: «Prima del 24 ci sediamo tutti quanti; uno o due devono fare il giro, e uno deve tenere la lista in mano , lui è il responsabile». Chi in cima alla lista? «I costruttori: ora li andiamo ad attaccare; quello che so io ogni tre mesi dà 12/13mila euro; poi sta quello che a dicembre ne dà 10mila e sono 23mila; e quello che dà 20mila. Ho detto a Tonino: vai da quello che dà 10mila e portali a me». Altra conversazione: «Mo’ si fa una cosa: si va per cantieri, vediamo chi sono i costruttori, chi paga e tutti quelli che non pagano. Ci devono pagare tutti i costruttori».
Del resto, ragionava un malavitoso: «Da quando mondo è mondo i soldi delle estorsioni li abbiamo sempre divisi, perché compà un domani che andiamo in galera, tu devi stare tranquillo, perché il carcerato non si può difendere». E ancora: «I ragazzi che stanno in galera, i soldi ce li stiamo mettendo noi».