criminalità

L’evoluzione della Società dal processo Panunzio a quello per il racket

Redazione Foggia

Fu il pentito tranese Salvatore Annacondia a far conoscere il nome della organizzazione criminale

FOGGIA - Come si cambia, rimanendo se stessi. L’evoluzione della “Società foggiana” quarta mafia d’Italia assurta da 2 anni e nemico principale dello Stato, la raccontano anche i capi d’imputazione: il reato è sempre lo stesso, l’articolo 416 bis del codice penale, ma cambia la formulazione. Un tempo struttura verticistica con due boss e luogotenenti; quindi strutturata in clan rivali, ma con una cassa comune per pagare stipendi a affiliati e mantenere le famiglie dei detenuti, e una strategia criminale condivisa. Emerge dal confronto dei capo d’imputazioni del maxi-processo Panunzio a 67 imputati, e di quello di “Decima bis” ultima inchiesta delle 13 contro la “Società” dal ’91 ad oggi con 514 arresti, 508 rinvii a giudizio, 283 condanne a decine di secoli di carcere. Nel maxi-processo Panunzio che per la prima volta sancì la mafiosità con sentenza della corte d’assise del 29 luglio ’94, non si parlava ancora di “Società”, il nome fu rivelato dal pentito tranese Salvatore Annacondia. Ben 67 imputati a vario titolo di 23 imputazioni: mafia, estorsioni, omicidio, ricettazione, droga: 21 assoluzioni, 47 condanne, di cui 34 per mafia.

In “Decima bis” (44 arresti tra novembre e dicembre 2020; 45 indagati; 30 imputazioni tra mafia, 23 estorsioni, usura, armi, duplice tentato omicidio, armi, turbata libertà degli incanti; 44 imputati di cui 2 deceduti per cause naturali; 28 condanne il 18 ottobre scorso dal gup nel giudizio abbreviato, di cui 15 per mafia) la “Società” non si limita… più a omicidi e taglieggi. Emergono una strategia condivisa tra clan pur rivali e spesso in guerra; e una cassa comune per stipendi a affiliati e mantenimento delle famiglie dei sodali detenuti; oltre agli storici affari legati a pizzo e droga, si punta a acquisire il controllo di attività economiche.

Nel maxi-processo Panunzio la Dda contestava agli imputati “d’’aver costituito o fatto parte di un’associazione per delinquere armata di stampo mafioso-camorristico; d’essersi associati per commettere un indeterminato numero di delitti di omicidio, estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti, furto e ricettazione e ogni altro reato strumentalmente collegato ai fini dello sviluppo e della permanenza dell’associazione a Foggia, San Severo e in altri luoghi”.

Questi i ruoli attribuiti dall’accusa. Capi: Giosuè Rizzi ucciso l’11 gennaio 2012; e Rocco Moretti, ancora detenuto a 72 anni e ancora al vertice della “Società” e che dall’89 ad oggi ha trascorso in libertà 2 anni e mezzo e il resto dietro le sbarre. Capo era ritenuto inizialmente anche Michele Mansueto, poi “degradato” a affiliato dopo essere sfuggito a un agguato il 23 giugno ’90 (poi ucciso il 25 giugno 2011). Quali “luogotenenti dei capi durante lo stato di libertà” erano indicati Roberto Sinesi, da tempo al vertice dell’omonimo clan e che dal ’93 ad oggi ha trascorso circa 25 anni in carcere; Antonio Vincenzo Pellegrino, da anni a l vertice del gruppo Moretti/Pellegrino, pure a lungo detenuto; Antonio Vinciguerra (ucciso il 4 settembre 2001); Leonardo Piserchia (assassinato il 24 ottobre ’99). Gli altri imputati erano ritenuti “affiliati e/o comunque semplici partecipi del sodalizio associativo”.

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