Il commento

Manovra 2026 senza visione e il Sud solo sullo sfondo

Leonardo Petrocelli

Ma c'è una strategia: tirare la cinghia nel 2026, uscire dalla procedura europea di infrazione per deficit eccessivo con un anno di anticipo e infine aprire i cordoni della borsa nell’ultima Legge di Bilancio prima del voto

Ha ragione chi sostiene che la Manovra 2026, approvata ieri in via definitiva alla Camera, non sia figlia di una visione. Una visione non c’è. Più che altro c’è una strategia: tirare la cinghia nel 2026, uscire dalla procedura europea di infrazione per deficit eccessivo con un anno di anticipo (un passaggio però non scontato) e infine aprire i cordoni della borsa nell’ultima Legge di Bilancio prima del voto. Insomma, risparmiare ora per poi spendere e spandere - per quanto possibile - a favor di elezioni.

Tutto legittimo, ci mancherebbe. E anche assai raro in un Paese come l’Italia in cui i governi durano in media poco più di un anno. Invece l’esecutivo Meloni può permettersi di ragionare su una legislatura intera attraversata senza troppi patemi e, salvo stravolgimenti, con la certezza di condurla per mano alla morte naturale. Con annesse buone possibilità di resurrezione dall’urna (elettorale). D’altra parte, la stabilità è precisamente la virtù su cui la premier ha incardinato la narrazione del proprio «buon governo». Insieme a un’altra, più taciuta che esibita: la benedizione dei poteri esterni. Quelli del «vincolo», per capirci. Applausi congeniali quando si tratta di Donald Trump - da sempre corpulenta divinità del pantheon meloniano - piuttosto imbarazzanti quando provengono dai tecnocrati di Bruxelles o dalle agenzie di rating, nemici naturali di ogni sovranista che si rispetti. Insomma, Giorgia, con un po’ di pelo sullo stomaco, ha fatto di stabilità e affidabilità la propria corazza contando sul carisma personale - rimasto più o meno intatto nella mediocrità generale (su questo ha ragione Marcello Veneziani) - e su qualche fuoco d’artificio da far esplodere nell’ultimo anno di legislatura.

Il problema, però, è che con gli applausi dell’Europa e i record di durata, non si mangia. O, meglio, non mangiano gli italiani. E se per il centrodestra è naturale ragionare politicamente, soppesando prima e dopo, sacrifici e rilanci, per il cittadino le cose funzionano diversamente. Vale l’hic et nunc, il qui e ora. La Manovra è efficace o non lo è? Aiuta o non aiuta? Aumentano le sigarette e il diesel, d’accordo, ma in cambio cosa arriva? Di certo è una Legge di Bilancio - non generosissima - pensata in un’ottica nazionale dove tagli delle tasse, agevolazioni, rottamazioni e bonus cadono (in linea di massima) allo stesso modo su tutta la penisola, come la maggior parte dei provvedimenti. È un po’ la notte di Hegel in cui tutte le vacche sono nere. O tricolori. La vacca del Sud, per capirci, non si vede o si vede poco. Ha ragione la Svimez quando per bocca del suo presidente, Adriano Giannola, afferma che il Mezzogiorno avrebbe bisogno, di un grande piano dedicato di cui - perché no? - potrebbe far parte anche il benedetto Ponte sullo Stretto purché non diventi un capolavoro di ingegneria che collega meravigliosamente il nulla con il nulla.

Ma ci dev’essere un virus che in Italia impedisce di comporre progetti di sistema. Eppure tutti i problemi che abbiamo sono ciclopici: denatalità, spopolamento, fuga dei cervelli, deficit infrastrutturali, manifatturiero in estinzione. Il bazooka del Pnrr, rispetto al quale la Manovra è più o meno una fionda, non ha cambiato poi molto i destini del Paese e soprattutto quelli del Mezzogiorno al quale era prioritariamente destinato. Abbiamo rifatto le piazzette dei borghi e abbellito le marine, disperdendo in mille rivoli miliardi e miliardi che dovremo, in larga parte, restituire. Certo, molta gente ha beneficiato dei cantieri aperti e lo stesso Sud è cresciuto a ritmi sostenuti, ma il rischio è che tutto si risolva in un gigantesco incendio di fuochi di paglia. Poche sono le opere, come la Napoli-Bari, che incideranno realmente su uno sviluppo di lungo periodo mettendo i territori in condizioni di correre anche dopo la chiusura dei rubinetti. E se nemmeno il Pnrr è riuscito a imprimere la svolta è difficile pensare che ci possano riuscire una, due o tre Manovre. Da cui la logica del bonus, dei «pochi, maledetti e subito» che tutti possono capire e apprezzare. Senza fare gli schizzinosi, molte iniziative sono benemerite a cominciare dal taglio dell’Irpef e dal rinnovo del 50% sulla ristrutturazione della prima casa. Gli italiani, da Nord a Sud, ringraziano. Ma - alla lunga - ringrazierebbero di più se l’esecutivo, la cui ambizione è quella di governare dieci anni, iniziasse a ragionare nel lungo periodo. Meno strategia, più visione o visioni. Anche a costo di prendere qualche applauso in meno da Bruxelles.

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