Lessico meridionale

E Ulisse diventò compagno di classe

Spigolando tra Pirati malesi e Corsari colorati, sottomarini, palloni volanti, Paesi dei balocchi, praterie, jungle e arcipelaghi, accertammo l’ineluttabilità del nostro piano accuratamente sognato nelle veglie di adolescenti: viaggiare

Vagabondi in pectore, da giovani, abbiamo professato la vocazione al viaggio come una militanza e, se non era onesta inclinazione o fatale disposizione famigliare dovuta a vicende professionali dei genitori, era vagheggiamento di una ribellione che atteneva al sogno. E il sogno giovanile era alimentato dall’immaginario cui potevamo approvvigionarci scrutinando i sogni altrui, quelli letterari. Spigolando tra Pirati malesi e Corsari colorati, sottomarini, palloni volanti, Paesi dei balocchi, praterie, jungle e arcipelaghi, accertammo l’ineluttabilità del nostro piano accuratamente sognato nelle veglie di adolescenti: viaggiare. E saremmo stati liberi: un pensiero vago quanto dolce e ribelle. Poi molti di noi incontrarono Ulisse.

Fu amore a prima vista e sillabammo in Greco: «Parlami, o Musa, dell’uomo versatile e scaltro che andò vagando tanto a lungo, dopo che ebbe distrutto la roccaforte di Troia». Più sbrigativo: «Colui che ha molto viaggiato». Di questo doveva occuparsi la Musa di Omero. La nostra, più scapestrata, ci istigava, tutt’al più, a marinare la scuola. Ubbidendo entusiasticamente, forse, perdemmo la correzione della nostra versione in cui avevamo, maldestramente, tradotto «O Musa racconta di quel viaggiatore che dopo aver distrutto Troia se ne andò da Calipso la bella…» e basta, essendoci fermati a guardare fuori della finestra, intercettati dagli aoristi. Ma Ulisse «che aveva visto molte città e conosciuto la mente di molti uomini» s’era, ormai, seduto per sempre nella nostra classe, compagno di banco.

Ulisse colto e bugiardo. Ulisse l’astuto. Ulisse instancabile amante. Cominciamo da lui, dal bugiardo, il mentitore irruente e geniale che s’affaccenda a sospingere eroi potenziali, ma renitenti, come era il femmineo e stravagante Achille nel resoconto malizioso di Stazio, a mitici assedi. E, in quelli, si prodiga ad architettare marchingegni fedifraghi. Ulisse costruttore di balocchi equestri e marziali. Ulisse-Nessuno accecatore di colossi sragionanti, personificazioni della bruta irrazionalità ferina ereditata dalle buie profondità delle teogonie. Ulisse bugiardo anche con gli Dei, soprattutto con gli Dei. Ulisse che colma la distanza tra apparenza e realtà affinando l’intelligenza e che sottrae agli avversari, con la menzogna, le necessarie informazioni per l’agire. Ulisse il giocatore che si traveste con i panni dell’altro e volontariamente dice il falso, volontariamente e coscientemente, per ubbidire al Platone che verrà, il quale avverte che il «mentire intenzionale ha più valore che dire involontariamente la verità».

Ulisse astuto e prudente. Ulisse che è, sì, forte e valoroso, ma è, soprattutto e sopra tutti, intelligente. È il giocatore che aspetta pazientemente, irridendo alla petulanza degli Dei invidiosi, il momento giusto: il «ò» greco che significa, però, anche l’ora fatale, quella che indichiamo come l’epilogo quando, di qualcuno che conclude il breve, troppo breve errore della vita diciamo che è giunta la »sua ora».

Ma Odisseo coglie l’attimo per l’azione fulminea e opportuna: s’aggira nelle probabilità, senza certezze geometriche e gioca con la gioia malinconica dell’azzardo esasperante. Ulisse simulatore abilissimo: persona tragica e comica del teatro girovago cui il suo vagabondaggio lo costringe con Circe e Nausica comprimarie, che inventa, manipola e narra affascinandoci con la malizia sublime di chi ci sta dicendo che sa di essere, a sua volta, narrato e che narrato sarà anche dai posteri e ai posteri di cui disperatamente si vuole sentire contemporaneo.

Ulisse il saggio di una saggezza che surclassa la furbizia spicciola che scaffali di luoghi comuni gli hanno attribuito, s’aggira nelle pagine dell’Iliade armeggiando e aspettando che noi lettori espugniamo il libro mentre gli Achei diroccano Troia, per presentarsi sulla scena dell’età moderna come il viandante nuovo. E parla greco. Parla e parlerà greco per noi, forse pattuglia più esile, quando lo incontriamo ancora. È al cospetto di Dante pellegrino che, anche lui, viandante, lo stana, bruciante di fiamma castigante nel terribile luccioleto dei consiglieri fraudolenti. Certo, pena meritata anche se con qualche approssimazione nel contrappasso che è forzato, probabilmente, dalla confusione tutta medioevale tra il callidus, astuto dei latini, ecalidus, l’altrettanto latino per caldo, rovente, avvicinati etimologicamente.

Virgilio, più costumato ad aver a che fare con eroi altolocati e, per giunta, Greci, parla, interroga, testimonia l’incontro più fatidico della letteratura di tutti i tempi: quello tra due viaggiatori che, a diverso titolo, camminano nella storia e nella geografia del mito, quella geografia irrappresentabile, se non nel sogno dei repertori degli archetipi profondi.

E Ulisse, compagno di banco, torna a raccontare e, quindi, a vivere, remigando negli endecasillabi perfetti dell’antico e battesimale Italiano di Dante viaggiatore e poeta: «Quando mi dipartii da Circe…». E sognammo.

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