L'analisi
Sostegno dell’Italia all’Ucraina, parlino i fatti non le interpretazioni
Il governo guidato da Giorgia Meloni è riuscito nell’impresa non certo facile di garantire a Kiev un prestito da 90 miliardi garantito dall’Europa. Quasi un miracolo, considerando che è stato assicurato un sostegno reale e soprattutto immediato
Ha ragione il braccio destro della premier, Giovanbattista Fazzolari. Incalzato da alcuni giornalisti sulle presunte divisioni nel governo in vista del varo del decreto Ucraina 2026, dopo aver chiarito che non c’è disaccordo nella maggioranza, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha rivolto loro la seguente domanda: «perché non parlate di geopolitica, anziché di gossip?» La chiave è tutta qui. Il gossip nell’informazione politica gratifica coloro che hanno interesse a mostrare un governo diviso anche quando diviso non è, coloro che devono far apparire i limiti di certe azioni politiche anche quando limitate non sono, coloro che mirano ad arrecare danni all’immagine di un Paese per indebolire chi quel Paese ha la responsabilità di guidarlo.
Soprattutto in politica estera, la cui complessità è certamente superiore a qualsiasi altro ambito dell’agire politico-istituzionale, a parlare devono essere solo i fatti. E quelli che elenca Fazzolari di fronte all’obiezione di un governo spaccato in due blocchi, ovvero da una parte FdI e FI e dall’altra la Lega, sono inconfutabili.
Fatto numero uno. Il governo guidato da Giorgia Meloni è riuscito nell’impresa non certo facile di garantire a Kiev un prestito da 90 miliardi garantito dall’Europa. Quasi un miracolo, considerando che è stato assicurato un sostegno reale e soprattutto immediato all’Ucraina, senza usare gli asset russi. Fatto numero due. La Russia non sta vincendo alcuna guerra, se non quella della disinformazione. Anzi, è impelagata in un conflitto che va avanti da quattro anni con enormi problemi anche per la propria popolazione.
Ricordiamoci che Putin aveva detto che avrebbe vinto questa guerra in pochi giorni e se ciò non è avvenuto e perché Zelensky ha potuto godere dell’appoggio di gran parte della comunità internazionale. Fatto numero tre. Il governo Meloni è fin dall’inizio schierato in favore dell’Ucraina con azioni concrete, sulle quali sarebbe il caso di concentrarsi senza indugi, per non alterare la verità delle cose. Fatto numero quattro. Al contrario di ciò che sostiene una certa stampa che ne enfatizza mediaticamente la portata, non sono incompatibili i due approcci, come ha ben evidenziato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi, Alfredo Mantovano.
Stiamo parlando da un lato dell’approccio di chi vuole più aiuti alla popolazione civile ucraina (il riferimento nel testo del decreto questa volta dovrebbe essere più esplicito relativamente a questo punto) e quello di chi vuole garantire all’Ucraina aiuti militari.
Il provvedimento che verrà approvato domani dal Consiglio dei Ministri è ispirato a questo assetto fattuale. Le maggioranze si reggono sulle mediazioni. È legittimo prospettare soluzioni differenti a singoli problemi, ma quando c’è un disegno politico e quando la stabilità diventa un valore aggiunto, tutto si compone dentro le ragioni della governabilità, come è normale che accada nelle democrazie rappresentative. Alcune posizioni vengono comunicate, pur sapendo che non verranno accolte se non parzialmente, solo per motivi di posizionamento. Quella che va contrastata, piuttosto, è la logica dell’enfatizazione mediatica dei presunti scontri interni ad una coalizione per finalità di destabilizzazione politica. È una logica che funziona più o meno così: si individuano gli attori politici che hanno l’atteggiamento più dialettico nei confronti del capo del governo; a loro si dà un grande spazio mediatico con il solo intento di creare attenzione pubblica sulle questioni che dividono, anziché su quelle che uniscono; a quel punto si comincia a costruire la narrazione del governo in difficoltà, della maggioranza in bilico, della legislatura che non arriva a conclusione naturale, nella speranza che si producano conseguenze effettive. Logica che, però, con il governo Meloni non attecchisce, come dimostra anche la manovra economica. La maggioranza è solida, coesa, abituata a governare insieme da decenni. La premier gode di una credibilità internazionale che le consente di svolgere il ruolo di pontiere tra Stati Uniti ed Europa in un contesto geopolitico tra i più complessi di sempre.
Intervenendo in Parlamento, la Meloni ha utilizzato un’espressione chiave per quanto riguarda il sostegno dell’Italia all’Ucraina: «multidimensionalità». Il che significa affrontare il tema da più prospettive contemporaneamente e sempre nell’ottica di trovare prima possibile non una pace qualsiasi, ma la pace più giusta. Quello che domani verrà approvato dal Consiglio dei Ministri, in continuità con gli ultimi anni, sarà un pacchetto di misure che asseconda una visione olistica e che parte da un principio che il governo italiano ha inciso sulla pietra: nessuna decisione sull’Ucraina potrà essere presa senza l’Ucraina e il suo popolo. È interesse prioritario dell’Europa, del resto, che si ponga fine al conflitto. È giusto che nel decreto si faccia riferimento al piano di pace di Trump, ha detto Fazzolari, perché è l’unico piano esistente ed è da lì che bisogna partire o ripartire.
Il Presidente degli Stati Uniti questa sera in Florida vedrà Zelensky per discutere i nodi ancora aperti. Secondo il presidente ucraino, che ieri ha partecipato ad una video-call con la presidente della commissione europea Ursula von der Layen e alcuni leader europei, l’ultimo ciclo di negoziati ha generato «nuove idee». Vedremo come andrà a finire l’incontro a Mar-a-Lago.
Intanto, è utile ricordare che il piano di pace elaborato dagli americani si articola in 20 punti. Il primo punto prevede il riconoscimento dell’Ucraina come Stato sovrano. Il secondo consiste nell’accordo di non aggressione con la Russia e nel monitoraggio internazionale della cosiddetta «linea di contatto». Il terzo comporta garanzie di sicurezza solide per l’Ucraina, mentre il quarto riguarda la consistenza delle forze armate ucraine (mantenuta a ottocentomila unità) e il quinto è relativo alle garanzie di sicurezza di Usa, Nato ed Europa in modo equivalente all’Articolo 5. Il sesto sancisce l’impegno della Russia a non aggredire Ucraina ed Europa. Il settimo contempla la possibilità che l’Ucraina aderisca all’Unione Europea entro tempi definiti.
L’ottavo ruota intorno alla definizione di un pacchetto di sviluppo economico concordato successivamente e separatamente. Il nono ha a che fare con i fondi per la ricostruzione e gli aiuti umanitari. Il decimo ha la finalità di accelerare il libero scambio Ucraina-Stati Uniti. Questi, invece, gli altri dieci punti. Undicesimo: conferma dello status non nucleare dell’Ucraina.
Dodicesimo: gestione della centrale di Zaporizhzhia. Tredicesimo: programmi educativi contro razzismo e tutela delle minoranze. Quattordicesimo: linea di contatto riconosciuta, ritiro russo da altre regioni, forze internazionali di controllo. Quindicesimo: impegno reciproco a non cambiare i confini con la forza. Sedicesimo: libero uso di Dnipro e Mar Nero per il commercio ucraino.
Diciassettesimo: scambio totale di prigionieri e ritorno dei civili. Diciottesimo: elezioni in Ucraina, una volta siglata l’intesa. Diciannovesimo: natura vincolante dell’accordo con la supervisione di Trump e con l’erogazione di sanzioni in caso di violazioni. Ventesimo: cessate il fuoco dopo l’approvazione dell’accordo.
I punti più critici sono il dodicesimo e il quattordicesimo. Il dodicesimo, come appena accennato, è relativo alla centrale ucraina di Zaporizhzhia, il più grande impianto nucleare d’Europa occupato dai russi. Gli Usa vorrebbero un impianto controllato da Ucraina, Stati Uniti e Russia con benefici economici condivisi. Kiev teme che in questo modo si legittimi l’occupazione russa, mentre i russi vogliono che la controparte ucraina sia tagliata fuori. Il quattordicesimo punto del piano di pace americano si riferisce, invece, alla questione oggettivamente più difficile: il futuro dei territori negli oblast di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson. Gli ucraini vorrebbero congelare il fronte, ma Mosca chiede che Kiev ritiri le truppe dalle zone che le forze russe non sono riuscite a conquistare.
Di fronte ad uno scenario così complesso, la diplomazia è l’unico strumento a disposizione degli Stati per ricercare le soluzioni possibili e quelle probabili, muovendosi con sapienza e realismo tra aspettative e aspirazioni, tra rigidità e flessibilità. E la diplomazia ha bisogno di un sistema mediatico che agevoli e incoraggi ogni tentativo utile a raggiungere la pace e che rinunci alle tentazioni di strumentalizzazioni e di interpretazioni di comodo.