politica

Ma nel Sud globale il Mezzogiorno non è più una periferia europea

gaetano quagliariello

La storia della «questione meridionale» è lezione utile per evitare nuove fratture, questa volta su scala continentale. E il Mezzogiorno, per questo, deve attingere dal suo passato le risorse affinché un’occasione non venga sprecata

Il «Sud globale» è composto da un insieme di Paesi che per tutto il Novecento sono rimasti ai margini dell’ordine economico internazionale. Non costituisce un blocco uniforme perché l’India non è la Libia e l’Egitto non è il Libano, ma alcune dinamiche si ripetono. Nella fase di «deglobalizzazione relativa» che stiamo vivendo esso ha assunto un’importanza inedita. Rappresenta il presente e il futuro: per le stime demografiche che ancora tengono, per i margini di crescita economica, per la ricchezza delle cosiddette terre rare.

Il nostro Mezzogiorno può essere considerato, in un certo senso, il «Nord» di questo «Sud Globale»? Per rispondere dobbiamo considerare perché dopo la pandemia l’economia meridionale ha corso più di quella del Centro-Nord, con aumenti del PIL, delle esportazioni e dell’occupazione superiori alla media nazionale. Tali risultati sono dovuti certamente a fattori straordinari, come gli investimenti pubblici e il PNRR. Essi si riferiscono anche, però, a una collocazione geopolitica e strategica che, nel nuovo mondo, sta assumendo sempre maggiore rilevanza. Guardando a ciò e ai i numeri, la risposta al quesito non può, dunque, essere liquidata. Essa consente di sottolineare una delle ragioni vere di questa primavera meridionale, evitando i rischi della retorica e, soprattutto, dell’autocelebrazione.

Il Sud Italia, infatti, ha dimensioni economiche paragonabili a quelle di diversi Paesi del Nord Africa e del Vicino Oriente. Non è più una periferia europea, ma un’area di media grandezza, inserita nel sistema di regole occidentali e nei grandi processi di trasformazione mondiale. Ed è questa posizione intermedia che gli consente di dialogare con la sponda sud del Mediterraneo, soprattutto su due grandi sfide dell’agenda futuro: energia e clima. Nella fase attuale energia, infrastrutture e filiere industriali non sono solo questioni economiche, ma strumenti di potere geopolitico.

Il Sud dispone di un capitale naturale decisivo per la transizione: sole, vento, mare. Ma avere le risorse non basta. In un Mediterraneo che torna a essere crocevia commerciale, logistico ed energetico, la vera sfida è saperle trasformare in sviluppo industriale: rinnovabili, reti, accumuli, competenze.

Dimostrare che la transizione ecologica può diventare crescita innovativa, e non solo un vincolo imposto dall’alto. L’altra partita è il clima. Siccità, stress idrici, incendi, pressioni sulle reti: nel Mezzogiorno sono problemi seri ma ancora gestibili. In molte aree dell’Africa, invece, gli stessi fenomeni producono effetti devastanti come insicurezza alimentare, instabilità economica, migrazioni forzate.

Il clima agisce come un moltiplicatore di fragilità: accelera ciò che è già instabile e rende esplosivo ciò che era solo latente. Per questo il Sud è un territorio dove misurare in anticipo la capacità di adattamento e resilienza dell’Europa ai cambiamenti climatici.

Da questa sua collocazione e da questo ruolo strategico deriva anche, per il Sud Italia, una speciale responsabilità. Fare tutto il possibile per evitare che il «Sud globale» si collochi sugli stessi binari che la storia italiana ha riservato al meridione. Evitargli gli errori che, durante le fasi di crescita industriale, hanno condannato il nostro Mezzogiorno a restare un passo indietro, mentre il resto del Paese correva: crescita senza industria, mercati senza filiere, sviluppo deciso altrove, mancanza di formazione e classi dirigenti adeguate alla sfida.

La storia della «questione meridionale», insomma, è lezione utile per evitare nuove fratture, questa volta su scala continentale. E il Mezzogiorno, per questo, deve attingere dal suo passato le risorse affinché un’occasione non venga sprecata. Deve farlo per sé e per altri. Deve avere l’ambizione di contribuire a governare la frontiera meridionale dell’Europa, per costruire un rapporto più maturo tra Nord e Sud del mondo. E trovare quest’ambizione prima che la storia, puntuale come un creditore, torni a presentargli il conto.

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