Il paradosso
Donne e lavoro, l’occupazione aumenta. Ma l’Italia resta ferma al gender gap
Le donne nel lavoro possono aiutare ad invertire la rotta del Paese. Ma dietro i numeri positivi restano disuguaglianze di genere, maternità penalizzate e un inverno demografico sempre più profondo
Le donne nel lavoro possono aiutare ad invertire la rotta del Paese Occupazione in crescita solo in apparenza: dietro i numeri positivi restano disuguaglianze di genere, maternità penalizzate e un inverno demografico sempre più profondo.
Il tasso di occupazione in Italia arriva al 62,7% (ISTAT), ma il dato medio nasconde una frattura strutturale. L’occupazione maschile è al 71,4%, quella femminile si ferma al 53,9% (ISTAT). Nel Mezzogiorno il divario diventa sistemico: lavorano il 62,7% degli uomini contro appena il 37,8% delle donne, mentre nel Centro-Nord le donne raggiungono il 62,9% (ISTAT). Non è una crisi congiunturale: è un modello che continua a escludere metà della popolazione.
La fascia 35-49 anni resta la spina dorsale del sistema, con il 77,7% degli occupati (ISTAT). I giovani 15-34 anni rappresentano solo il 34,3% della popolazione aziendale. Nella classe 25-34 anni il tasso di occupazione è del 69,2%, ma il divario di genere è netto: 88,1% uomini, 60,5% donne (ISTAT), nonostante si tratti in larga parte di giovani e post-laureati. Il capitale umano esiste, ma viene disperso.
Dopo i 50 anni il lavoro torna a mancare. Nella fascia 50-64 anni l’occupazione scende al 66,5% (ISTAT), tra espulsioni precoci e difficoltà di ricollocamento. A crescere è l’inattività, che riguarda il 32,8% della popolazione: 23,9% uomini e 41,7% donne (ISTAT). Tra i 15–24 anni l’inattività raggiunge il 77,1%, scende al 23,4% tra i 25-34, al 17,4% tra i 35-49, per poi risalire al 30,8% oltre i 50 anni. Solo i laureati mostrano una vera tenuta, con un tasso di inattività del 13,7% (ISTAT).
Nel II trimestre 2025, su 12.194 inattivi, 3.203 dichiarano motivi familiari per non cercare lavoro: 3.054 sono donne, solo 149 uomini (ISTAT). Altri 4.673 indicano lo studio come motivo principale (ISTAT). È un segnale positivo solo se formazione e lavoro torneranno a parlarsi.
Il punto di rottura resta la maternità. Il 72,8% delle dimissioni convalidate riguarda madri con figli da 0 a 3 anni (INL, Relazione 2022). Nel 2024 i nuovi nati sono 370.000, in calo del 2,6% rispetto al 2023 (ISTAT, *Indicatori demografici 2025). Il tasso di fecondità scende al minimo storico di 1,18 figli per donna, con un’età media al parto di 32,6 anni (ISTAT). L’inverno demografico è ormai strutturale.
I dati sull’occupazione con figli minori lo confermano: tra le donne 25-54 anni l’occupazione è al 64,9%, ma scende al 60,1% con due o più figli; per gli uomini sale oltre il 91% (ISTAT). È la fotografia del motherhood penalty e del fatherhood bonus.
Il gender gap non è una questione individuale, ma un problema sistemico certificato da ISTAT, UE, OCSE, WEF. Continuare a ignorarlo significa accettare meno lavoro, meno crescita e meno futuro. Senza il lavoro delle donne, l’Italia non ha margine di sopravvivenza economica né demografica.