L'analisi

Andare a votare per scongiurare la «minocrazia»

Domenico Santoro

Le elezioni che si avvicinano non saranno soltanto una sfida tra candidati, ma un confronto decisivo tra chi sceglie di votare e chi sceglie di non farlo

Le elezioni che si avvicinano non saranno soltanto una sfida tra candidati, ma un confronto decisivo tra chi sceglie di votare e chi sceglie di non farlo. L’esito reale non si misurerà sui nomi, ma sulla partecipazione. Già alle 15 di lunedì 24 novembre si capirà se avrà vinto la democrazia o la sua crescente stanchezza.

Il vero pericolo è un’affluenza sotto il 50%. Sarebbe la conferma di un trend in caduta libera che dura da oltre quarant’anni: dal 93% delle politiche del 1976, l’Italia è precipitata al 63,9% del 2022. In Puglia, nelle Regionali, la discesa è ancora più evidente: dal 70,49% del 2005 al 56,4% del 2020. Quasi quattordici punti in meno.

Numeri che descrivono un Paese in cui la partecipazione democratica si sta sgretolando.

L’astensione non è più un fenomeno uniforme. Esiste un’astensione «passiva», fatta di disinteresse e sfiducia, ed esiste un’astensione «attiva», scelta come forma di dissenso politico. Qualche anno fa si sono affermati movimenti capaci di trasformare il malessere sociale in energia elettorale. Le Sardine riuscirono verosimilmente a riorientare il voto in Emilia-Romagna; il Movimento 5 Stelle intercettò a lungo la domanda di cambiamento; la stessa Lega di Bossi, agli inizi, fu una risposta a quella stessa esigenza. Poi, però, lo sconforto e la disillusione hanno ripreso il sopravvento, e all’orizzonte si paventa un nuovo crollo dei partecipanti al voto. Persino la scheda bianca ha perso valore simbolico: era comunque un atto democratico, esprimeva sfiducia nella rappresentanza, non nella democrazia.

Le ultime vicende pugliesi non hanno certo aiutato a invertire la rotta. Ci si sarebbe aspettati una campagna incentrata sui temi che realmente competono alle Regioni: sanità, governo del territorio, energia, trasporti, servizi sociali, istruzione. Invece si è imposta la solita liturgia social, fatta di iperboli comunicative, meme, polemiche istantanee e indignazioni algoritmiche.

Sui temi veri, silenzio. Eppure la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) ha ridisegnato il rapporto tra Stato e Regioni, attribuendo a queste ultime poteri decisivi in ambiti che incidono direttamente sulla qualità della vita dei cittadini. Non si tratta di enti amministrativi, ma di istituzioni che governano settori cruciali.

Ancora più paradossale è l’assenza, nel dibattito, dei riferimenti all’autonomia differenziata e ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep), che dovrebbero garantire a ogni cittadino gli stessi diritti minimi in sanità, trasporti, istruzione e servizi sociali.

Un nodo cruciale per il futuro del Paese e, soprattutto, per la tenuta dei territori meridionali, completamente ignorato nella discussione pubblica.

In questo clima è arrivata l’ultima scossa comunicativa: l’invito di Antonio Decaro a «non votare gli scappati di casa». Una frase volutamente dura, che traduce in politichese un messaggio ancora più esplicito: liberiamoci di chi può essere d’intralcio all’ordinato svolgimento delle funzioni istituzionali, per incompetenza, ignoranza o per una naturale inclinazione all’affarismo spicciolo. Ma questo appello apre un cortocircuito evidente: se gli impresentabili sono impresentabili, qualcuno li ha pur selezionati, proposti e sostenuti. La responsabilità politica non può essere scaricata sul senso civico degli elettori.

Il rischio che abbiamo davanti ha un nome: «minocrazia». È la forma politica che nasce dall’astensione strutturale, dalla rinuncia, dal vuoto lasciato da chi sceglie di non partecipare. È la democrazia che sopravvive senza i cittadini, alimentando comunicazione superficiale e leadership costruite più sulle emozioni che sulle idee.

Eppure il momento è decisivo. Quando la rappresentanza non rappresenta più e la fiducia si sgretola, il confine con modelli più autoritari diventa sottile. Non basta criticare la politica: bisogna esercitare la democrazia. Perché la democrazia esiste solo se qualcuno la pratica, se l’elettorato sceglie i valori ai favori. La minocrazia, se arriverà, non sarà un destino ma il risultato di una nostra scelta.

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