L'analisi
Ma il grande nemico di Lobuono e Decaro sono le urne deserte
Dove, sondaggi o meno, il risultato è dato dai più scontato e le uniche variabili rimaste per togliere il sonno agli elettori sono: in che misura perderà il centrodestra? E, dunque, vale la pena andare davvero alle urne domenica e lunedì?
Lo spettro dell’astensionismo aleggia sulle urne pugliesi. Dove, sondaggi o meno, il risultato è dato dai più scontato e le uniche variabili rimaste per togliere il sonno agli elettori sono: in che misura perderà il centrodestra? E, dunque, vale la pena andare davvero alle urne domenica e lunedì?
La diserzione in massa è temuta da un fronte e dall’altro ed è forse proprio per questo che Giorgia Meloni ha deciso di venire a Bari a riempire il Teatro Team, dopo i ripetuti inviti - tutti disertati - ad inaugurare la Fiera del Levante. Ci ha messo la faccia, va riconosciuto, e per lo stesso motivo ce l’ha messa pure Elly Schlein, venuta in Puglia ben due volte, nonostante il suo candidato governatore Decaro - sapendo di aver già vinto «tra la gente» a prescindere dal Pd - abbia esplicitamente invitato i suoi «big» a non venire e, anzi, si sia dato pure latitante nei comizi tra Brindisi e Lecce, prima di mescere con lei birra a Bari.
Perché tutto questo gran daffare tra un polo e l’altro? Perché il rischio, appunto, non è l’esito della partita tra vincitori e sconfitti - partita che sembra più un’amichevole tra scapoli e ammogliati - ma quello dell’astensionismo. E la campagna vera, quella che non si può declamare nei comizi, non è tanto su chi vincerà in Puglia, ma su quanto riuscirà il perdente a ridurre le distanze dal vincitore.
Cominciamo da destra. La rassegnazione regna sovrana in quel pezzo di popolo pugliese a cui non va più giù un ventennio incontrastato di governi regionali di centrosinistra. E il rispolvero di Lobuono non sembra aver risvegliato gli animi. A dirla tutta, regna pure tra chi dovrebbe portare la «carretta» della campagna elettorale: parlamentari, sottosegretari e vari capibastone del governo meloniano si sono dati più o meno latitanti, chiamando i leader nazionali a sopperire loro nel tour «understatement» del candidato. Anzi, alcuni si sono pure lasciati scappare qualche selfie con Emiliano... tanto, mica è una sfida politica di serie A, è un’amichevole di Eccellenza. Tutti in fuga (o quasi) dalla responsabilità di una sconfitta annunciata, con l’unico obiettivo dei partiti di coalizione di misurarsi a vicenda sui risultati finali dopo anni di letargo. Chi prenderà la fettina più grossa dei seggi in consiglio regionale? In tasca una sola certezza: comunque vada a finire, saranno 21 gli scranni di opposizione a Decaro, come prestabilito dalla legge elettorale.
A sinistra non gira tanto meglio. La consapevolezza di giocare una partita già vinta non sta mobilitando più di tanto né il variegato popolo delle piazze (platee sguarnite anche davanti a Schlein e Conte), né i capibastone delle liste che si affacciano con il loro vessillo sotto il manto dell’invicibile Decaro. Tranne il leader dei 5S - che dopo le batoste prese nelle Marche e in Abruzzo confida in un riscatto a doppia cifra in Puglia - per tutti gli altri si tratta di pattinare sul liscio. Qualche brivido lo ha regalato la telenovela iniziale tra Emiliano e Decaro («vengo anch’io», «no, tu no»), finita nell’abbraccio forzato sul palco del candidato Pagano (i dispetti amministrativi sui manager Asl tra i due, invece, continuano). Vendola, riapparso dopo dieci anni nelle piazze virtuali dei social, appare imbolsito e forse provato dal processo Ilva; Emiliano, indispettito, se ne sta nell’angolo e Decaro gira la Puglia come un Cristo morto. Gli altri big locali (parlamentari e non) fumano la pipa davanti al caminetto in attesa dell’esito scontato.
A poco serviranno, nel frattempo, anche gli spot anni ’80 lanciati dai candidati consiglieri nelle ultime settimane sulle tv private e sui social, catapultandoci in un’epoca che sembrava finita. C’è chi si mette a recitare davanti alla macchina da presa col camice bianco (per far vedere che è medico e, quindi, sicuramente risolverà tutti i mali del sistema sanitario), chi ad inseguire con la camera i propri piedi (vuole dire a tutti che si consumerà le suole in giro per la regione) o ad affettare salumi (così tutelerà il «Made in Puglia» enogastronomico, anche se la gente non può più permetterselo). C’è anche chi ha pensato bene di presentarsi con i piedi nell’acqua del mare gelido, lanciando un pensiero da Marina di Lesina - pensate un po’ - al neo sindaco di Ny, Mamdani, diventato il mantra di tutte le sinistre mondiali dalla Groenlandia al Gargano. Per non parlare del civico decariano che ha scelto il pickup per spostarsi tra i paesini foggiani definendosi un «capatost» e celebrando comizi dal portapacchi in rigoroso dialetto dauno.
Almeno loro, tra modi rustici e trovate kitch, ci provano a rallegrare una campagna elettorale un po’ svogliata, portata avanti dai contenedenti con i consueti riti degli incontri, caffé, panzerotti e passeggiate.
Il vero nemico da battere, intanto, sta lì: l’astensionismo. E rischia di insidiare sia Decaro - che si aspetta dalla Puglia un plebiscito dopo il mezzo milione di voti preso alle Europee - sia Lobuono, al quale un centrodestra mai così compatto e sollevato da pesi ha lasciato in mano il «cerino»: portare a casa una percentuale di sconfitta almeno dignitosa.
Urne deserte? Il rischio è grosso. Non c’è partita, dicono in tanti da una parte e dall’altra, tanto vale guardarsi i «caroselli» dei candidati sui social. La speranza? Che vincitori e vinti, finiti i riti dei giri per la Puglia e dei comitati elettorali che aprono e chiudono come funghi, si rimbocchino le maniche non per pinzare birre a sinistra o consumare aperitivi a destra, ma per riportare la gente a crederci ancora nella politica. E magari avere 50 consiglieri eletti in grado di lasciare una traccia di sé nei prossimi 5 anni, per far dimenticare in fretta l’inutile legislatura appena trascorsa. La Puglia che non si astiene li aspetta.