L'analisi
Urne sempre più vuote: viaggio alle radici del «non voto» italiano
Uno dei fenomeni più rilevanti della politica contemporanea è rappresentato dalla crescente percentuale di non votanti nelle tante elezioni che periodicamente si susseguono per dare riscontro a una democrazia, almeno in apparenza, consolidata nel mondo occidentale
Uno dei fenomeni più rilevanti della politica contemporanea è rappresentato dalla crescente percentuale di non votanti nelle tante elezioni che periodicamente si susseguono per dare riscontro a una democrazia, almeno in apparenza, consolidata nel mondo occidentale. Da un angolo visuale del tutto ottimistico parrebbe che quante più sono le competizioni elettorali tanto più si realizza il «sistema» democratico che proprio nelle votazioni trova una delle sue principali ragioni di essere.
Ma è proprio così? Di certo le ultime votazioni, anche le più recenti per i rinnovi di alcuni consigli regionali, stanno manifestando una crescente disaffezione verso le urne tanto da far ritenere che il risultato delle varie votazioni a causa della sempre più bassa affluenza possa non corrispondere alla effettiva volontà della maggioranza degli elettori del Paese. Invero, appare ormai un dato consolidato che il principale partito risulta sistematicamente quello idealmente rappresentato dai non votanti.
Un recente libro di realtà politica romanzata, scritto dal noto giornalista Sergio Rizzo, dal titolo 2027. Fuga dalla democrazia, ipotizza, con avvenimenti proiettati nel 2027, anno delle prossime elezioni politiche in Italia, che la votazione per il rinnovo delle due Camere parlamentari, anche a causa di un contemporaneo disastro atmosferico abbattutosi sull’intera penisola, aveva espresso una percentuale bassissima di votanti tanto da costringere il Governo con un proprio Decreto ad annullarla, ma anche la successiva votazione di qualche mese dopo non aveva sortito un effetto tanto migliore in quanto avevano votato circa un milione di aventi diritto su un totale di circa cinquanta milioni, esprimendo grosso modo solo tre milioni di voti validi oltre a circa settecentomila schede bianche o voti nulli, comunque una percentuale totale di votanti pari al due per cento degli aventi diritto; la qual cosa poneva inevitabilmente il problema della validità di una siffatta votazione, non espressione della maggioranza degli aventi diritto ma solo di una piccola percentuale di essi.
A fronte di coloro che affermavano che comunque si era svolta una votazione libera nel rispetto delle procedure elettorali, e quindi delle regole democratiche, si veniva affermando la diversa opinione che ne affermava l’irregolarità in quanto il risultato non poteva ritenersi espressione della massa degli elettori complessivamente considerata. Insomma, si contestava non la regolarità del risultato ma della votazione in se che non poteva rispecchiare la volontà della maggioranza degli aventi diritto ad esercitare il proprio diritto-dovere. Da qui la necessità di rivolgersi alla Corte Costituzionale per affidare ad una decisione la validità di una votazione così scarsamente rappresentativa del corpo elettorale.
Ma, prescindendo da questa ipotesi irreale immaginata dall’autore del volume e dalla legittimità di una votazione che non rappresenta per affluenza la maggioranza degli elettori, conviene domandarsi quali possano essere le cause di questa costante disaffezione dall’esercizio del dovere civico del voto. Proviamo ad avanzare alcune possibili spiegazioni.
La prima: la sfiducia nei confronti della classe politica. Di certo a questo progressivo allontanamento della opinione pubblica dalle vicende politiche in generale ha contribuito l’involuzione dei partiti che da entità intermedie tra i cittadini e le istituzioni, non rappresentando più quella cinghia di trasmissione delle istanze popolari verso gli organi decisionali, ne hanno causato un inevitabile distacco.
L’allontanamento è stato vieppiù alimentato dalla scelta dei rappresentanti politici, almeno per il Parlamento affidata in base al vigente sistema elettorale agli organi diligenti dei partiti per di più senza neanche un preliminare dibattito interno, in tal modo sottraendo la selezione al discernimento degli iscritti e quindi anche degli elettori ai quali resta solo la possibilità di votare il Partito e non i singoli candidati, così scollando ancora di più un legame già alquanto sfilacciato.
Inoltre, un peso non irrilevante sta avendo la corruzione - i cui episodi salienti vengono sistematicamente resi noti dai media che accendono i riflettori su ogni vicenda politica di interesse generale - che contribuisce certamente a sfaldare ulteriormente un rapporto di fiducia tra elettori ed eletti, maggiormente se questi ultimi non sono stati selezionati dal basso.
Un’altra causa del crescente allontanamento può forse essere rinvenuta anche nello scarso ricambio dei vari candidati che se già da lungo tempo noti agli elettori non suscitano più quella curiosità (elettorale, ma non solo) che forse nomi nuovi, magari di giovani rampanti, potrebbe diversamente suscitare.
Ancora, le tante votazioni che periodicamente si susseguono per i vari livelli istituzionali. Invero, la democrazia, che come ben noto si fonda sul bilanciamento di pesi e contrappesi, perciò su decisioni e controlli che devono trovarsi in costante equilibrio tra loro, a causa dei vari necessari passaggi comporta necessariamente la assunzione di decisioni in tempi non sempre rapidi; e le lungaggini, come noto, stancano oltre che i diretti interessati anche i terzi beneficiari indiretti, suscitando il conseguente malcontento generale che alimenta sempre più il distacco dei cittadini dalla politica.
Un altro fattore della crescente disaffezione dal voto può essere rinvenuto nella «moda» dei comportamenti, cioè nell’assuefazione a quanto maggiormente diffuso nell’opinione pubblica che ormai in prevalenza ritiene inutile recarsi alle urne per concorrere a determinare la politica nazionale. Invero, specie negli Usa, patria della principale democrazia, i principi democratici si vanno sempre più affievolendo, non solo nei comportamenti dei principali leaders politici, ma anche, e purtroppo soprattutto, nell’opinione pubblica, stanca oltre che per le lungaggini interistituzionali anche per i vari controlli e per le continue compensazioni transattive, strumentali all’adozione di provvedimenti non unanimemente condivisi, che finiscono per rallentare l’adozione di provvedimenti che invece richiederebbero tempi più rapidi. Specie nel periodo attuale appare crescente la stanchezza per l’attesa di interventi rallentati che invece utilizzando l’ausilio dell’intelligenza artificiale potrebbero essere realizzati in tempi ben più celeri. Infine, sempre negli Usa, si sta radicando la convinzione che la cultura «liberal», fortemente sostenuta dai principali membri progressisti e dai movimenti studenteschi nelle università e più in generale, dai centri di cultura con dibattiti e contestazioni sui temi di interesse generale sta finendo per generare reazioni di segno opposto in quella parte di opinione pubblica che considera la democrazia come troppo morbida nei confronti di questi nuovi movimenti di opinione che ai più appaiono troppo spinti in avanti e in parte negatori dei principi fondamentali della storia nord-amercana. E si sa quanto ciò che avviene negli Usa finisca poi per incidere, nel bene o nel male, sulle vicende della vecchia Europa oltre che nel restante mondo democratico.