L'analisi
Dalla Corte dei Conti all’Università: ecco il disastro delle riforme
Pollice in su, per alcuni versi: conti a posto (dicunt), spread, occupazione (tuttavia criticabile per i limiti di trattamento), punteggio di affidabilità creditizia in crescita dalle agenzie di rating, credibilità degli investitori sul debito pubblico, una buona rappresentanza estera
Pollice in su, per alcuni versi: conti a posto (dicunt), spread, occupazione (tuttavia criticabile per i limiti di trattamento), punteggio di affidabilità creditizia in crescita dalle agenzie di rating, credibilità degli investitori sul debito pubblico, una buona rappresentanza estera.
Pollice decisamente verso per: la revisione costituzionale sulla divisione sulle carriere dei magistrati; la riforma della Corte dei conti che ferirà a morte il Leone messo a guardia dei conti; la riforma delle università. Ma non solo ciò che fa è negativo, ma anche ciò che trascura: la riforma del sistema sociosanitario e, con essa, la regolazione come si deve del rapporto tra Ssn e sistema universitario, che registra 27 AOU sedicenti a fronte di 30 presenti sul territorio nazionale; la riforma fiscale; la riforma della Giustizia nella sua ineludibile interezza.
A ben vedere, fa male con gli approcci al sistema giudiziario, tradotto in nemico da sconfiggere perché più fastidioso di un mal di denti per l’esercizio della politica; fa malissimo in quei tanti temi trascurati con colposa assenza di progetto e affidamento delle soluzioni alla burocrazia, che rappresenta il vero vulnus della PA.
Insomma, l’attuale compagine governativa non riesce a farne una buona di riforma strutturale e, ogni volta che ci prova, rovina il già rovinoso sistema Paese. Una conclusione cui si perviene assumendo conoscenza, da ultimo, della riforma delle università, meglio del tentativo di cambiare l’equilibrio di governance tra accademia e politica.
Nessun pro e tanti contro Inutile la divisione delle carriere, decisamente rovinosa la riforma della Corte dei conti. Un sistema della giustizia oramai messa in un angolo remoto da ko definitivo. Sul verso dell’inerzia, la situazione è ancora più grave lasciando perdere nelle attuali situazioni: una sanità com’è, spendacciona e inefficiente; una scuola che non produce istruzione ma neppure educazione sociale; un fisco iniquo e diseguale. Ma soprattutto il terzo Potere dello Stato che non riesce più ad essere tale se non diventerà destinatario di investimenti, di buoni propositi e di pratici sviluppi parlamentari della ideologia scritta nella Costituzione.
Un Governo si distingue dal resto per le riforme strutturali che mette a terra per modificare, spesso radicalmente, la qualità dell’esigibilità uniforme dei diritti fondamentali in favore della Nazione e il tessuto dell’economia, intendendo per tale il quadro istituzionale garante dei diritti della persona e dell’impresa. Dal loro corretto concepimento viene fuori la capacità di governance di realizzare il meglio ma in modo equilibrato. Alert: sarebbe un guaio fare della Giustizia, quella posta a garanzia procedurale dalla Costituzione, il proprio cagnolino da salotto: la legge è uguale per tutti. Occorre crederci e lavorare sodo per realizzare il principio. L’esperienza dello stop della Corte dei conti al Ponte sullo Stretto è da trasformare da occasione per impallinare il Giudice contabile in quella di sano ripensamento dell’iniziativa, attesa la spesa miliardaria - sempre in progress - che indebiterà oltremisura le due Regioni coinvolte senza capirne le reali utilità. Necessita dire un basta all’attuale Governo che ne fa una in più la settimana, solo perché deve combattere contro i mulini al vento, specie quelli togati.
Sulle Università un pugno in un occhio all’autonomia L’ultima è ad opera del Gruppo di studio istituito con il DM 20 settembre 2024, rubricato al n.1591, che ha elaborato una ipotesi di disegno di legge destinato a «cambiare il mondo», con il risultato di arrivare sorprendere gli assertori della intoccabilità dell’autonomia delle Università. Il tutto con l’obiettivo di riformare la legge cosiddetta Gelmini per migliorare la qualità e l’efficienza del sistema universitario italiano. Una autonomia riconducibile all’art. 33 della Costituzione che attribuisce alle Università «il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti delle leggi dello Stato». Una disciplina implementata dalla legge 240/2010, intesa a rendere il sistema universitario più efficiente, meritocratico e competitivo, introducendo regole comuni per la governance e la carriera accademica nonché rafforzando la responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche. Una autonomia tuttavia vigilata dallo Stato attraverso gli organi di revisione con la nomina di due revisori dei conti su tre, a cura del MEF (che presiede il collegio dei revisori) e del MUR. L’elaborato, così come congegnato dal gruppo di lavoro messo su dal MUR, influirebbe sensibilmente, sul principio dell’autonomia nella sua concretezza, facendo assumere ad ogni Governo in carica la paternità delle scelte dei componenti esterni del Consiglio di amministrazione, che è bene ricordare è l’organo gestorio per antonomasia, sia in relazione alla conduzione economico-finanziaria degli Atenei che alla programmazione strategica. Ma farebbe molto di più. Ciò in quanto consentirebbe al Rettore di consumare un mandato di otto anni, rinnovabile, facendo sì che lo stesso rimarrebbe per oltre un quindicennio il dominus assoluto, come figura di indirizzo politico e amministrativo, condizionante per un consistente numero di anni le politiche universitarie e quelle ad esse strettamente connesse.
Sulla base di queste considerazioni, emerge che la ratio del provvedimento in itinere cozza con alcuni principi fissati nella Costituzione. È fuori di ogni dubbio la lesione diretta dell’art. 33 ma anche una sorta di incoerenza con quanto sancito nella Costituzione nell’art. 116, comma ultimo. Più precisamente, in rapporto al regionalismo asimmetrico che è costituzionalmente conseguibile dalle Regioni anche in relazione all’art.117, comma secondo, lett. n). Ciò nel senso che ad una Regione ordinaria - qualora venga concesso con legge, approvata a maggioranza assoluta dei componenti, di esercitare la legislazione differenziata - con l’ipotesi legislativa in atto andrebbe verosimilmente a farsi friggere quanto ad omogeneità di trattamento della disciplina universitaria. Facendo così venire meno tutta l’impostazione di riforma del potere universitario disegnato dal nutrito gruppo di lavoro, composto da diciotto insigni accademici e presieduto dalla ministra Bernini. A meno che il Governo in carica non abbia già deciso di mettere definitivamente da parte la messa terra dell’autonomia legislativa differenziata.