politica
Emiliano e Fitto, i due «uomini di sistema» della Puglia globale
È forse questa la vera eredità dei due «uomini sistema»: una Puglia che conta, che ha imparato a stare nel mondo. Ora resta da capire chi sarà capace di scrivere il capitolo successivo
Due «uomini sistema» che, con stili diversissimi ma con analoga capacità di tessere trame e governare i processi politici locali, hanno plasmato la Puglia contemporanea. Entrambi hanno alimentato il dibattito politico regionale, foraggiato apparati, proiettato la Puglia nel club delle regioni che contano.
Non che la nostra terra non abbia avuto giganti nella storia repubblicana, ma a dare concretezza all’autonomia regionale pensata dai costituenti e resa viva dalle riforme costituzionali sono stati proprio loro: due «democristiani» atipici e complementari.
Fitto è stato il figlio d’arte, concepito e allevato nell’humus della migliore tradizione democristiana: fisiologicamente spocchioso ma audace e coraggioso, persino quando ebbe la tempra di sfidare il Cavaliere. Portatore di una salentinità orgogliosa e identitaria, ha guidato la destra pugliese nella sua stagione migliore, quando ancora sapeva fare sistema e squadra.
Emiliano, invece, è stato guascone e levantino quanto basta, ma anche fine alchimista politico: capace di mutare geneticamente anche il più strutturato conservatore, un «mangiatore di consensi» che ha attraversato le stagioni politiche modificando gli equilibri, spesso anticipandoli.
Quanto ci mancherà quell’epico confronto di cinque anni fa tra Fitto ed Emiliano: una sfida che tenne la Puglia con il fiato sospeso fino all’ultimo giorno di campagna elettorale. Dopo Fitto, la destra ha smarrito la capacità di fare squadra, dimostrando che leader non si diventa con la propaganda social. Il dopo Emiliano, invece, è un’incognita ancora tutta da scrivere. Ma è certo che, se non avesse vinto quella battaglia elettorale difficilissima contro il potente avversario leccese, la discesa in campo - intesa come percorso lungo un tratto inclinato - del mitico Antonio Decaro sarebbe stata molto più ardua. Stessa cosa dicasi per tanti altri che oggi possono sfoggiare il berretto da «luogotenente» - alcuni con lode, altri con demerito - e che, senza quella vittoria, non avrebbero nemmeno avuto il numero civico da cui cominciare.
A Fitto, paradossalmente, la lontananza dalla poltrona più alta di via Gentile non ha nuociuto: anzi, gli ha giovato politicamente, spalancandogli autostrade romane e oltre. E non è detto che Emiliano non possa percorrere un cammino simile, visto lo scenario e i movimenti nelle «alte sfere».
Oggi, però, tutto sembra già scritto: una partita stanca tra il club dei 21 e quello dei 29, in cui i due candidati recitano un copione di cui si conosce già il finale. Non appassionano, non accendono la piazza, non costruiscono futuro: amministrano soltanto attese. L’unica vera incognita è se Nichi Vendola saprà riaccendere lo spirito della «Primavera pugliese».
In questo quadro, vale la pena ricordare una pregevole testimonianza di coerenza: Antonella Laricchia, candidata pentastellata nel 2020 contro i due big sopracitati, sarà ricordata come esempio di dignità politica in un mondo in cui regna il trasformismo.
Negli ultimi cinque anni non si può dire che la Puglia abbia dormito. Un evento, in particolare, resterà indelebile nella memoria collettiva e nella storia istituzionale della regione: il G7 di Borgo Egnazia, tenutosi dal 13 al 15 giugno 2024. Un vertice di portata globale che ha portato i leader delle sette maggiori economie mondiali su questo lembo di terra sospeso tra Adriatico e Ionio.
Il mondo dei potenti è atterrato in Puglia. Un evento bipartisan, che nessuna bandiera può rivendicare in esclusiva e che ha dato al tacco d’Italia una visibilità planetaria, proiettandolo per tre giorni nel cuore delle relazioni internazionali.
Ed è forse questa la vera eredità dei due «uomini sistema»: una Puglia che conta, che ha imparato a stare nel mondo. Ora resta da capire chi sarà capace di scrivere il capitolo successivo.