L'analisi
Università di Bari, la speranza di un futuro nuovo
Dal 1° ottobre è iniziato un nuovo sessennio rettorale nell’Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»: il prof. Roberto Bellotti si è insediato ufficialmente quale Magnifico Rettore
Dal 1° ottobre è iniziato un nuovo sessennio rettorale nell’Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»: il prof. Roberto Bellotti si è insediato ufficialmente quale Magnifico Rettore, scelto nella competizione elettorale avvenuta a maggio. Con l’entrata in scena del nuovo Rettore, il precedente, prof. Stefano Bronzini, ci lascia trasmettendo al successore un’eredità complessa, per anni particolarmente importanti e difficili affrontati.
Innanzitutto l’emergenza Covid che ha ridisegnato l’approccio didattico ponendoci tutti davanti all’alternativa di svolgere le lezioni in presenza o in modalità mista, dando quindi risalto ad affrontare una serie di problematiche che hanno visto in questi anni emergere le Università telematiche quale nuovo modello di itinerario didattico, opportunità adesso in gran voga, che ha dimostrato anche dei suoi ineludibili vantaggi. Ciò ha avuto come conseguenza, però, lo svuotarsi di nuove iscrizioni presso molti Atenei italiani. Tale condizione di attuale precarietà si è verificata anche per aver perso l’occasione di offrire un approccio formativo nuovo che integrasse quello tradizionale in presenza, restando ancorati, cocciutamente, ad un modello non più univoco. È un dato di fatto con cui fare i conti e aggiornarsi.
L’Università neppure svolge funzioni, né si struttura come un ufficio di collocamento. Qui viene la seconda complessità affrontata dall’Amministrazione UniBa uscente, quella cioè di aver portato in ruolo di associato od ordinario una serie molto alta di abilitati a tali funzioni, situazione che non avrebbe dovuto cogliere il mero obbligo della messa in ruolo, ma piuttosto trovarvi reale congruità rispetto alle esigenze didattiche. Senza ledere il merito.
Infine le celebrazioni per i Cento Anni del nostro Ateneo sono state un ulteriore banco di prova con cui l’Amministrazione uscente ha dovuto misurarsi, mostrando sì, in questo caso, un notevole senso di equilibrio, una particolare e ammirevole intensità di stile, senza ovviare a fare risaltare nell’insieme una lodevole credibilità per crescita comunitaria e per qualità professionale amministrativa UniBa, rimarchevole quest’ultima, sempre, in molti vari ambiti dell’Ateneo e dei singoli Dipartimenti. Un sessennio, pertanto, dovrebbe evitare il gretto costituirsi di piccole tifoserie personali, il codazzo di patriziati da privilegiare o di amici di comitiva da preferire, amici con cui si trascorrono i sabati o le vacanze ridisegnando di continuo, tra un poker o una teresina, le mappe dei ruoli, agevolando ex compagni di scuola, o avvantaggiando faunesche rappresentanze di logge e di clan familiari, peraltro famelicamente esigenti nella loro mera vanità di elevarsi a ranghi da dover prediligere.
Tale dimensione, d’altronde, crea nel tempo barzellettai, un grave danno a coloro che fanno ricerca, offrono progetti di ambito internazionale, realizzano scoperte scientifiche o prodotti monografici internazionalmente premiati, restando poi, malgrado ciò, incastrati in una particolare categoria, quella degli «apolidi universitari», senza un riconoscimento dei ruoli, come fossero privi di «cittadinanza» universitaria, sovente anche stigmatizzati lavativi per non aver «fatto carriera» come se questa non fosse una conseguenza del lavoro svolto, ma di un altro itinerario, un tirocinio del tutto avulso dal fare ricerca e svolgere didattica, uno stage piuttosto, o apprendistato, per liberi muratori, selezionati e arruolati per affiliazione settaria da opportuni reclutatori o ingaggiati per arruffianamento nei confronti di abituali manovratori.
Il venirsi a creare di queste situazioni, che formano sacche di piccole oligarchie, disfa la trama dei traguardi didattici d’insieme e le progressioni di ricerca, smembrando le connessioni comunitarie di confronto, stimolanti a nuove mete pedagogiche ed epistemologiche, fattori questi che fanno Università e costruiranno dal prossimo ottobre una nuova speranza a UniBa.
D’altra parte i carrierismi fini a sé stessi sono propri di Università ridotte a un meccanismo di selezione di una setta, o a comitive di giostrai e di giocatori di carte, di zecchinetta, atteggiati a docenti, tuttavia in grado di esercitare un’egemonia inquinante, escrescenze in vesti di esangui damerini, dal volto terreo, però altero nell’aulica loro verbosità, damerini intirizziti e coperti di felpe anche a luglio, sovente accompagnati da funeste mafalde o da impellicciate vamp. Misteriose. Sconvolte. Racchiuse in uno sguardo inquieto. Noir. Provocatoriamente occulto, come novelle Faye Dunaway in Chinatown.
Tutto ciò delinea l’onore universitario come una perpetua disfatta, perché la ricerca della supremazia di pochi su tutti degenera in scempio didattico e smarrimento generazionale, biascicato da un vociare stridulo, starnazzante. Crollano così le speranze ridotte a malsane aspettative di potere, di vanagloria, di illusione. L’Università deve continuare a procedere verso una specifica intensità di stile pedagogico e verso un rilancio delle opportunità didattiche, creando formazione e sviluppo culturale, come tra varie difficoltà, esterne, questo ultimo sessennio ha tentato di svolgere rispetto al sinistro sessennio passato.
Auguriamo al nuovo Magnifico Rettore, prof. Roberto Bellotti, di cogliere ogni elemento caratterizzante l’eredità di questo sessennio, ma anche del precedente, custodirla e osservarla, così da preservarne il futuro, un futuro diverso, consolidante un nuovo passaggio al realismo gestionale, alla cura degli studenti, cui offrire sempre alternative didattiche arricchenti, opportunità di passaggi culturali e formativi determinanti, uscendo da una Università intesa quale mero esamificio o collocamento di ruoli, garantendo piuttosto il comunitario senso di unione e di adesione all’istituzione per la quale con gioia lavoriamo, gioia che è sprone a quei laureati prossimi che dovranno a loro volta operare nella nostra società. Perché formazione e ricerca sono una gioia e una speranza, cioè una vocazione professionale; laddove iniziare nuovamente un sessennio consolidandone fedeltà e cura a nuova partecipazione, culturale e formativa, sarà una missione.