l'analisi
Regionali, altro che Decaro: se non cambiano le regole il favorito è l’astensionismo
Il prossimo governatore si prenda sin da subito un impegno, ancor prima di insediarsi: aprire una fase costituente per cambiare le regole del gioco democratico in Puglia
Si dice che il «popolo del centrodestra» non andrà a votare. Si dice che la delusione di un’attesa - oggettivamente estenuante - abbia indotto già tutti quelli orientati a destra a disertare le urne delle prossime votazioni regionali in Puglia. Si dice che, tanto, con Decaro non vale la pena: hanno già vinto a sinistra prima di cominciare. E si dice che l’astensionismo, quel fantasma che aleggia da anni su tutti gli appuntamenti elettorali come dimostrato in questi giorni dalle Marche, stia lì pronto a diffondersi come un virus il 23 e 24 novembre. Si dice anche che - per come è congegnata la legge elettorale della Regione - comunque vadano a finire le percentuali (80 a 20, 70 a 30, 65 a 35?) poco cambia: l’opposizione - cioè la minoranza delle urne - sempre 21 seggi prenderà in consiglio regionale. Tanto vale, per chi sa già di andare in minoranza, non giocare la partita. Ecco, in estrema sintesi sembra questa la fotografia della Puglia che - attonita e decisamente disinteressata alla politica, quando non diventa telenovela - va incontro alle elezioni regionali.
Guardate l’atteggiamento del centrodestra verso le urne del 23 e 24 novembre. Sonnolente, apatico, sconfitto in partenza, guidato da generali locali a dir poco inadeguati e sorretto da colonnelli demotivati, con un esercito dietro - il «popolo» di centrodestra, ammesso che ci sia ancora - che assiste inerme alle parate elettorali dell'avversario aspettando solo di essere travolto. 60-40, 70-30, 80-20... cambia poco il numero dei «morti» sul campo (i consensi) se il finale è già scritto: 21 seggi garantiti per sistemare per 5 anni quelli che sopravviveranno alla mattanza, con i colonnelli a pasteggiare nelle bouvette di Montecitorio e Palazzo Madama e i generali a giocare a risiko sullo scacchiere che gli detta il leader di turno... Civico? politico? Donna o uomo? Chi mandiamo al rogo delle urne impossibili contro Decaro? Tanto, non cambia nulla: morto un papa-governatore non se ne fa un altro, l’importante è prendere quei 21 posti in via Gentile e continuare a fare per altri 20 anni la minoranza che non decide nulla.
E ora guardate il centrosinistra: un candidato governatore (Decaro) che sembra che deve andare al funerale di un amico; litigi al vetriolo con l’amico-nemico di sempre, il mentore Emiliano da cui vuole affrancarsi nella telenovela dell’anno, e una sfida che tale non è perché non c’è manco l’avversario e la partita è finita prima ancora di cominciare. In pratica, Sinner che si allena con lo spara-palle.
Se queste colorate premesse corrispondono alla realtà, beh, stiamocene alle case quel week end di novembre. Se, invece, non corrispondono, la prima cosa da fare sarebbe cambiare le regole del gioco, ovvero modificare Statuto e legge elettorale della Regione. Nel primo caso, intervenendo sull’anomalia dei vincoli di nomina che il presidente di turno - a prescindere dal suo colore politico - ha nella scelta degli assessori. Solo 2 tecnici e 8 eletti per comporre la giunta di 10 assessori significa che i 29 consiglieri di maggioranza che siederanno in consiglio regionale faranno a gara per accaparrarsi il posto nel governo esecutivo (con relativo «bonus» di stipendio da assessori) pur di entrare nella stanza dei bottoni e gestire il potere vero. E il governatore potrà scegliere la squadra solo dal parco di consiglieri eletti che l’esito elettorale gli offrirà, alla faccia delle competenze o delle qualità dei singoli cui affidare deleghe di governo. Senza contare che con una scelta così ristretta il «ricatto» di chi si deve sedere da consigliere in aula per votare, ad esempio, il Bilancio invece di stare altrove da assessore costringerà anche il nuovo governo, per i prossimi 5 anni, a raschiare il barile per avere i numeri in assise (al punto da voler ricorrere, come paventato, perfino all’istituzione dei consiglieri «supplenti»).
Nel secondo caso, quello della legge elettorale, sarebbe cosa buona e giusta rivedere la ripartizione dei seggi magari in misura proporzionale ai consensi presi. Se il triste e terribilmente dimagrito Decaro vince col 95% , deve avere il 95% dei seggi, in modo che quello che viene definito «premio di maggioranza» non diventi «premio di minoranza», cioè 21 seggi assegnati alle liste avversarie a prescindere dal risultato. Quello che avrebbe dovuto essere un «diritto di tribuna», cioè la voce dell’opposizione in Consiglio a tutela della democrazia, è diventato una pre-condizione della contesa elettorale. Alla faccia della democrazia.
Semplice da dire, difficile a farsi se ad ogni giro di governo - che si tratti di Fitto, Vendola o Emiliano - alle riforme statutarie/elettorali ci si arriva nel parlamentino pugliese alla fine del quinquennio («così vale dal prossima legislatura e non tocca a me», dicono i consiglieri-legislatori) e con un governo, a quel punto, decotto. Ecco, non lamentiamoci tutti – a cominciare dai partiti – se poi il vero vincitore delle urne è l’astensionismo. E, magari, il prossimo governatore si prenda sin da subito un impegno, ancor prima di insediarsi: aprire una fase costituente per cambiare le regole del gioco democratico in Puglia. Magari, così facendo, i pugliesi torneranno ad interessarsi della politica vera invece di assistere alle telenovele dei litigi «in famiglia». E magari l’unico verso sconfitto, almeno dal 2030, sarà l'astensionismo.