L'analisi
Nel 2018 anche la Puglia a cuore pentastellato, ma in due anni sfuma tutto
Il 2018 passerà alla storia come l’anno della «rivoluzione meridionale». Nel senso che in quella tornata elettorale il Mezzogiorno va all’opposizione
Il 2018 passerà alla storia come l’anno della «rivoluzione meridionale». Nel senso che in quella tornata elettorale il Mezzogiorno va all’opposizione. Sino a quel momento, nella storia repubblicana, non era mai accaduto. Il Movimento 5 Stelle, per di più, ottiene una forza rappresentativa mai concessa prima a nessun partito. Neppure alla Democrazia Cristiana nella sua fase trionfante. Se si considera la mappa elettorale di allora, il Sud ci appare invaso da una marea gialla (il colore che contrassegna la conquista dei collegi da parte dei pentastellati). Il rosso scompare. Quasi sia stato abrogato, non si rintraccia più sulla cartina. I pochissimi collegi azzurri (quelli vinti dal centrodestra) sembrano rinverdire il mito del villaggio di Asterix sulla mappa dell’Impero Romano. Per contarli, tra Camera e Senato, bastano le dita di una sola mano. E nessuno di essi, perdipiù, si trova in Puglia. Qui i Cinque Stelle non hanno argini. Sfiorano il milione di consensi.
Eppure, tra tutte le realtà meridionali la Puglia sarà l’unica che riuscirà a limitare l’insorgenza del populismo pentastellato, evitando che essa rafforzi quel particolare fenomeno che può essere classificato sotto il nome di «pendolismo politico». Proviamo a spiegarci. Il successo del M5S è anche il sintomo di una «volatilizzazione» del voto che nel Mezzogiorno è iniziata già prima dell’epifania dei grillini.
L’insofferenza dell’elettore meridionale per i palazzi romani, infatti, prima del 2018, si sostanzia nell’alimentare un ritmo oscillatorio tra centrodestra e centrosinistra quasi regolare. Ciò avviene in pressocché tutte le regioni del Sud: in Campania si passa da Caldoro a De Luca; in Abruzzo da D’Alfonso a Marsilio; in Basilicata l’irruzione di Vito Bardi spezza l’egemonia rossa; in Calabria l’altalena è tra Scopelliti, Oliverio, la compianta Jole Santelli e Occhiuto. La Puglia, invece, resta fedele alla linea: immutabile, tetragona, anomalia nell’anomalia.
Una «matrioska» politica. Per questo, anche se i Cinque Stelle cavalcano la rabbia sociale del Mezzogiorno e fanno «cappotto» alle politiche, e pure la Lega avanza, il governo gialloverde non conquista i cuori dei pugliesi. Nel 2020, alle regionali, i «grillini» scivolano all’11%: sette punti meno del 2015. Due anni, dunque, bastano per sedare la ribellione manifestatasi col trionfo nelle politiche del 2018. In principio c’è l’appello di Emiliano al voto disgiunto: votate Cinque Stelle a Roma, ma in Regione votate per me. Poi l’accoglimento in Giunta e la successiva «coabitazione», un matrimonio di convenienza sciolto poco più di un anno fa quando Conte torna a evocare la questione della legalità.
Nel 2022, d’altro canto, il Movimento torna a primeggiare, quanto meno nei collegi del Tavoliere. Segno che anche per esso vige la legge non scritta degli ultimi vent’anni: voto locale e nazionale non coincidono. Ciò che accade a Roma non si specchia più in quello che accade a Bari, a Lecce e persino in provincia di Foggia. Il pugliese Giuseppe Conte sembra aver compreso l’antifona e, per questo, in proiezione del 2027, quando si tornerà a votare per le politiche, sta producendo lo sforzo maggiore per cambiare la regola.
Solo un anno fa aveva clamorosamente rotto l’alleanza del «campo largo» in sostegno di Vito Leccese candidato a sindaco di Bari. Oggi, nei confronti di colui il quale è stato il principale sponsor di Leccese, le sue parole, invece, sono dolci come il miele. Antonio Decaro, addirittura, per il leader del Movimento che un tempo fu «grillino», rappresenta il garante del vero «rinnovamento». Ma quel che avvicina Giuseppe Conte all’astro nascente del riformismo piddino non riguarda né il TAP né l’ex Ilva. Non sono, insomma, i programmi. Quanto, piuttosto, la volontà di sottrarsi a un destino che in Puglia condanna, puntualmente, il M5S a ricominciare da capo. Per questo, mentre altrove il vento del presunto rinnovamento ha il nome proprio di un big del partito - Roberto Fico in Campania, Pasquale Tridico in Calabria - in Puglia, invece, la new age ha preso il volto dell’ex-sindaco di Bari.
La scelta è eloquente. Risponde, certo, a una strategia nazionale per la quale è stato innalzato all’onore degli altari persino Matteo Ricci, pur gravato da un’inchiesta. Tradisce, però, anche la speranza di voltare pagina in una terra dove i Cinque Stelle sono stati normalizzati – anzi, neutralizzati – dal «partito regione» di Michele Emiliano. Quest’ultimo, sulla carta, risulta di certo politicamente più prossimo al M5S di quanto lo sia De Caro. Ma Politics makes strange bedfellows, ammoniscono gli inglesi. La politica genera talvolta strani compagni di letto. Le alleanze, in nome di una causa comune, possono avvicinare anche chi proviene da mondi diversi.
Seconda puntata, continua. (La prima puntata è uscita lo scorso 17 settembre)