L'analisi

Se il futuro del Sud passa dal nuovo volto del Mediterraneo

Gaetano Quagliariello

All’inizio del nuovo secolo il «Mare Nostrum» appariva ancora una tranquilla retrovia del mondo post-Guerra Fredda

Lampedusa dista dall’Africa meno di settanta miglia marine. Sono poche, ma significative. Non possono considerarsi solo una distanza tracciata con il compasso sulle carte nautiche. Sono una frontiera geopolitica, strategica e simbolica. Quelle settanta miglia attestano che il Sud non è più il cortile periferico dell’Europa, ma il suo avamposto, in un Mediterraneo che ribolle come una pentola lasciata sul fuoco senza coperchio.

All’inizio del nuovo secolo il «Mare Nostrum» appariva ancora una tranquilla retrovia del mondo post-Guerra Fredda. L’Urss si era dissolta, la Nato guardava a Est come nuovo orizzonte e il Mezzogiorno d’Italia arrancava in coda alle classifiche europee, in compagnia delle regioni più povere di Spagna e Grecia. Poi la storia ha tolto il freno a mano e pigiato sull’acceleratore. Le Primavere arabe del 2011 hanno acceso molte speranze. Sembrava l’alba di una stagione democratica nel Nord Africa e in Medio Oriente. Illusione di breve durata. Il caos libico e la guerra civile siriana hanno fatto scendere il sipario prima ancora che la recita cominciasse. Nel frattempo, il Sud diventava la «porta d’Europa»: sbarchi, hotspot e una gestione dell’immigrazione che Roma e Bruxelles affrontavano come una specie di pronto soccorso permanente.

Oggi il Mediterraneo cambia di nuovo volto, anche se molti faticano a riconoscerlo. Non è più soltanto la cerniera tra due oceani - l’Atlantico, colonna portante dell’Occidente, e l’Indopacifico, dove Russia e Cina sfidano i vecchi equilibri. È uno snodo strategico connesso al conflitto ucraino, dove Mosca e Ankara stanno giocando le loro partite parallele. Non cadono missili come su Kiev, ma si combatte una «guerra ibrida» altrettanto cruciale: basi militari, pipeline energetiche, controllo logistico e delle rotte che portano alle «terre rare» dell’Africa subsahariana, le materie prime che alimentano l’economia del secondo millennio. La Russia ha perso la certezza delle sue basi in Siria. Sposta, per questo, i mercenari dell’Africa Corps in Libia usando il generale Haftar per consolidare la propria presenza in Cirenaica e proiettarsi nel Sahel. La Turchia presidia la Tripolitania: un piede dentro la Nato e l’altro ben saldo fuori dall’Europa. Mentre Pechino non manda truppe, ma container, navi e capitali: la Via della Seta senza sbandierarla troppo.

Il Mezzogiorno in questo scacchiere è l’alfiere più esposto. Anche se non a ritorsioni militari, assai improbabili. I rubinetti migratori che Russia e Turchia possono aprire o chiudere, infatti, bastano per far sudare freddo l’Europa senza che si spari un colpo.

Questa centralità, però, non va intesa come una condanna. Tutt’altro: fa rima con opportunità. Dopo la pandemia il Pil del Meridione è tornato a crescere sopra la media nazionale, trainato da Pnrr, rinnovabili e turismo. Se l’Europa vuole davvero un’autonomia strategica, deve ripartire dal suo fianco Sud. E i porti come Gioia Tauro - «portaerei naturali» tra Suez e Bruxelles - possono diventare la spina dorsale di una politica industriale e logistica utile a difendere anche l’Europa orientale. La lezione di Taranto, che deve smettere di essere solo il simbolo di un’acciaieria in eterna crisi e diventare un nodo del disegno di sicurezza integrata euro-mediterranea, mostra che il futuro del Sud non si gioca solo sulla dimensione economica, ma sulla sua collocazione geografica. E i giovani del Mezzogiorno, protagonisti di progetti europei e nuovi campus mediterranei, potrebbero diventare l’innesto vitale di innovazione e rinascita.

La sfida, dunque, è politica. Il governo italiano può trasformare il vantaggio geografico del Sud in leva strategica, liberandolo dalle vecchie liturgie emergenziali. Il Piano Mattei va in questa direzione, ma il banco di prova per Giorgia Meloni sarà riuscire a intrecciare le grandi variabili del nostro tempo: dazi americani, questione energetica, gestione dei flussi migratori e nuovi investimenti per la difesa. Se Roma saprà cucire questi dossier in una trama unitaria, il Mezzogiorno non sarà solo una terra di confine dove altri decidono le sorti del Mediterraneo. Diventerà protagonista dell’Europa di domani.

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