L'analisi

Tra caldo e bufere, così ci arrendiamo al generale tempo

Gino Dato

Precedute da bollettini e consigli dei proliferanti meteorologi doc, sul levare dell’estate imperversano le «previsioni» del tempo

Precedute da bollettini e consigli dei proliferanti meteorologi doc, sul levare dell’estate imperversano le «previsioni» del tempo. Ma, più che previsioni, sarebbe saggio chiamarle le «sanzioni», i «verdetti» del tempo?  Perché, se una volta costituivano solo un esercizio di probabilità, sciorinate con parsimonia, a cui ci aggrappavamo come a una fede nell’aldilà, oggi suonano come profezia e destino ineluttabile, cui adeguarsi senza battere ciglio.  

La grancassa suona di parole e fenomeni sinistri: ondate di calore, termometri che salgono, picchi e punte. L’estate italiana assumerà sempre più le sembianze di una stagione nordafricana, e là dove ci risparmierà il sollievo  potrebbe essere nella forma  di fenomeni estremi, come temporali violenti e locali nubifragi... Ci attrezziamo mutando stili di vita, vestiario, cibo. Ma soprattutto modificando l’approccio ai giorni.

Come è diversa la meteorologia di oggi da quella del passato. Quando, per il tempo che fa, si guardava il cielo, il probabile era il possibile, aperto a ogni auspicio e desiderio di giorni diversi e stagioni procaci. Dove oggi il probabile è la certezza più nera di eventi contrari. Se apriamo lo sguardo agli accadimenti nel mondo, in una sfera di guerre e catastrofi in mondovisione, dove si contano variabili di insulti carneficine morti e distruzioni, solo il tempo si propone con le caratteristiche certe di una informazione e bollettini che non lasciano scampo.  Eppure la meteorologia rimane iscritta in quella sfera che chiamiamo futuro, dove, nonostante le frustrazioni e mutazioni, non rinunciamo a frugare, spinti come siamo da due sentimenti: la curiosità di poter sapere quello che accadrà domani, ma anche l’incertezza e l’insicurezza, che sono le ancelle stesse della curiosità.

Resteremmo inerti tuttavia se non avessimo dalla nostra parte la tecnologia, che non si nega a nessun giro di ballo e che l’uomo volentieri fa passare nella schiera delle comparse importanti della vita, con la pretesa di sottoporre alla stessa i cicli di vita.

Ma, allo stesso tempo, proprio la presenza di quest’ultima è causa di frustrazioni per un umano che non riesce a mettere a regime l’ambiente Terra, semmai sfuggito di mano… A normalizzare e piegare la meteorologia comunque interviene anche un’altra osservazione: del tempo si valutano soltanto gli eccessi, le extravaganze, il fuori misura, che prendono il nome di nubifragi, straripamenti, inondazioni.

Non è una schizofrenia la nostra ma una sorta di resa al generale tempo, che non guarda in faccia nessuno e che non ci grazia neanche quando ci accorgiamo che le sorti della Terra mal declinano, anche quando l’uomo si muove con comportamenti accettabili.

E, per fare un po’ di ironia, muore, tra le tante espressioni che riconducevano all’umano sulla terra i fenomeni atmosferici, anche quel detto «Piove, governo ladro!», che un tempo piegavamo a strumento di propaganda contro il potere costituito come ladro per definizione.

Perché si dice «Piove, governo ladro»? Il motto indica la tendenza di attribuire al governo la colpa per qualunque evento nefasto accada, persino appunto la pioggia. Le ipotesi sull’origine di questo detto, attestato per la prima volta nel 1861 in una vignetta del caricaturista Casimiro Teja, probabilmente affondano nel Medioevo o nell’antica Roma, quando il sale era un bene molto prezioso (si parla ancora di «salario» a indicare la paga di un lavoratore o lavoratrice). E poiché il sale assorbe molto bene l’umidità, nelle giornate di pioggia tende a pesare di più e questo poteva aumentare i dazi o diminuire la paga dei lavoratori.

Ma oggi il sale scarseggia e non piove più…

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