L'analisi

I conti pubblici? Il «banco» dei controlli ormai è già saltato

Ettore Jorio

Ciò accade tutti i giorni con un Mef che più tollerante di così con alcune Regioni non era facile neppure immaginare, sino ad arrivare a complicità molto discutibili

Il Governo vuole giocare la partita dei conti pubblici con l’arbitro però chiuso a chiave in uno stanzino. Lo vuole fare con i conti dei Pnrr attaccando il controllo concomitante. Lo pretende con i controlli sui bilanci del sistema autonomistico territoriale. Lo esige con i conti inguardabili del Servizio sanitario nazionale, ove alla Calabria viene persino consentito di chiudere, ora per allora, i tantissimi bilanci mancanti degli anni passati, violando le leggi, il sacrosanto principio della continuità e autorizzando il ricorso a pezze giustificative solo perché note a taluni.

Insomma, il banco dei controlli, della certezza del diritto, della trasparenza dei conti pubblici è ampiamente saltato. Non solo. Si consentono rimedi che offendono le regole ordinamentali.

Ciò accade tutti i giorni con un Mef che più tollerante di così con alcune Regioni non era facile neppure immaginare, sino ad arrivare a complicità molto discutibili. Con una Riforma della Corte dei conti, proposta dal deputato Foti, divenuto poi ministro, e oggi all’esame del Senato, che ne offende le sue radici costituzionali.

È davvero difficile non comprendere quanto questo Governo sia allergico ai controlli.

Nessun antistaminico sarebbe in grado di alleviare un siffatto fastidio, che è una componente strutturale delle sue politiche economiche. Pretende di cambiare tutte le regole di correttezza contabile per fare sì che i controlli, di ogni genere, vengano messi in soffitta.

Un modo, questo, per rinnegare la ratio costituzionale ed europea insita nell’art. 81 della Costituzione, del severo impegno all’equilibrio economico. Un atteggiamento istituzionale, questo, che occorre a far finta che non esista il successivo art. 100, comma 2, che rimette alla Magistratura dei conti il ruolo primario di verifica della correttezza di esercizio dei bilanci pubblici. Un ruolo fondamentale, quindi, quello del Magistrato erariale che l’attuale Esecutivo vuole portare al quasi livello di inutilità, con una subalternità che fa venire meno il principio dello «stato di diritto» e della Giustizia.

Quest’ultima resa monca, oltre che dalle modifiche in atto delle leggi vigenti, da un uso distorto dei singoli magistrati, chiamati spesso a vivere presso le corti ministeriali, meno degne delle Corti alle quali i medesimi erano assurti a seguito di un complesso concorso, molto di più per l’accesso alla Corte dei conti.

Insomma, oggi si registra un attacco alla Magistratura in senso lato, e a quella contabile nello specifico, il tutto condito da una legge di contabilità che, si spera, venga approvata come Iddio comanda e come l’Ue pretende. Al riguardo, ci si augura che diventi legge dello Stato con una lettera funzionale a garantire una verifica costante dell’andamento del debito pubblico e del governo della spesa. Soprattutto, sul tema come queste vengano impiegate e su casa abbiano prodotto in termini di utilità pubblica.

E qui le contraddizioni dell’uso distorto che si fa del sistema parlamentare. Da una parte, un Parlamento (teoricamente) impegnato a riscrivere la riforma dei conti pubblici e, dall’altra, intenzionato (praticamente) a demolire la Corte dei conti. Quest’ultima mission politica della maggioranza è un brutto approccio al principio di legalità, è una lesione grave - come detto - dello stato di diritto, della natura del controllo istituzionale sino a renderlo inefficace.

Non solo. Assicura inconcepibili condoni in tema di responsabilità erariali pregresse ad personam (avvocato dello Stato) e consente alla burocrazia della PA di fare tutto ciò che il decisore politico desidera (ma anche di farsi gli «affari» propri!), dando modo di aprire di più le porte ad una più facile corruzione.

Così facendo, il sistema della PA andrà più a rotoli di come abbia fatto sino ad ora.

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