l'analisi

Università, finalmente regole migliori per reclutare i docenti

Giovanni Dotoli

La ricerca, i rapporti con il territorio e l’internazionalizzazione tra i fattori premianti

Il Consiglio dei Ministri ha appena approvato un disegno di legge relativo a nuove regole per il reclutamento dei docenti nell’Università italiana, su proposta del Ministro per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca (MIUR), On. Bernini.

Dico subito, finalmente! Lo spettacolo cui assistiamo da un ventennio ha prodotto risultati fortemente negativi, che sono sotto gli occhi di tutti. Occorreva con urgenza intervenire. Con le regole correnti, né Benedetto Croce né Roland Barthes avrebbero potuto partecipare alle procedure di abilitazione nazionale. Non avevano le cosiddette mediane, un arzigogolo burocratico creato dall’Anvur, Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e della Ricerca.

Quando ero al Cun (Consiglio Universitario Nazionale Universitario), decenni fa, si parlava costantemente di valutazione nazionale della ricerca - esiste nei maggiori Paesi al mondo -, e ricordo appassionati dibattiti con il Ministro Antonio Ruberti, grande socialista, ministro e poi commissario europeo. Ma via via, fatta la legge trovato l’inganno. Una burocrazia pazzesca. Una corsa a possedere questo e quel requisito, che spesso nulla dice della reale qualità del concorrente. Pubblicazioni per quantità e non qualità. E regole al limite della commedia dell’assurdo. Una mi ha appena colpito. Sono direttore di due riviste a Parigi - Parigi! -, da me fondate, presso il più grande editore universitario francese, e forse europeo, Classiques Garnier, diretto da Claude Blum: la Revue européenne de recherches sur la poésie, il cui punto di riferimento è l’Europa unita sotto il segno della poesia, e Les Cahiers du dictionnaire, unica rivista al mondo che pubblica ricerche sul dizionario d’ogni tipo, legata alle mie Giornate Italiane o Mondiali dei dizionari - ne organizzo in tutto il mondo.

Dopo lunga attesa, e dossiers sfiancanti, si riconosce la scientificità delle due riviste, ma non viene assegnata la cosiddetta classe A, con la seguente incredibile motivazione: la percentuale degli autori di articoli in pensione è troppo alta! Vale a dire che dopo i settanta anni sei nullo, mentre prima forse eri un genio. Che dire? Giudichi il lettore.

Ma veniamo alla nuova proposta di legge, che spero passi quanto prima in Parlamento, dopo giusta e accorata partecipazione. Finisce la cosiddetta abilitazione nazionale, che ha prodotto tanti danni, in primis un esercito di abilitati che non avranno mai posto, con scoramento generale e danneggiamento per il sistema universitario. Poi commissioni estratte sulla rosa di nomi di coloro che hanno fatto domanda per entrare in commissione: possono far domanda solo coloro che hanno le fantasiose «mediane»: quindi divisione dei docenti ordinari in serie A e serie B! Poi secondo concorso bandito da un dipartimento. Quindi due concorsi per riconoscere la stessa cosa. E quello locale quasi sempre pilotato.

Ora si propone di tornare correttamente a quanto accade nelle università più prestigiose al mondo. Un unico concorso, bandito dal Dipartimento, con una commissione di cinque componenti, di cui uno interno. E valutazione di tutti gli elementi in campo: la ricerca - sacrosanta -, con l’attività quotidiana dei rapporti con il territorio - se ne parla tanto ma ora conta zero -, le relazioni internazionali - anche di queste si straparla, per una valutazione pari sempre a zero -, la didattica - che è essenziale nella formazione dei quadri del futuro -, e una valutazione seria biennale cui legare anche l’avanzamento stipendiale. Si dirà che quest’ultima esiste anche oggi: certo, ma un po’ a mo’ di burla.

Il nuovo sistema ha vantaggi evidenti, anche se sappiamo dell’atavico adattamento italico, che però ora avrà tante difficoltà per affermarsi: qualità e non quantità delle pubblicazioni - in ogni caso tra dieci e quindici -, cancellazione degli assurdi criteri aritmetico-quantitativi attuali, riduzione drastica dei vincitori - non più un esercito da sistemare che preme sul sistema e spesso ci riesce, con problemi incalcolabili per l’università -, riconoscimento del merito a seguito di discussione dei titoli - tutti i titoli!, anche quelli al di fuori delle pubblicazioni di cui sopra -, eliminazione degli attuali elementi di pura formalità - ora tutto si svolge sulla carta -, base nazionale del posto a concorso - lo è anche ora, ma tutto si riduce al localismo, in genere con candidato unico.

Plaudo quindi al progetto. Il reclutamento diventa più semplice, più produttivo e più serio, e anche meno farraginoso, come scrive giustamente Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera» del 21 maggio, e certamente più «scientifico» e più rispondente ai reali bisogni dell’università che bandisce e del sistema universitario nazionale e internazionale.

Si tratta di una questione centrale per il nostro Paese e per l’Europa. Il futuro è nelle mani della crescita formativa, scientifica e culturale. Tutti lo diciamo. Ma una università che non se ne renda conto procura danni irreparabili per il futuro. Siamo in epoca di cosiddetta intelligenza artificiale, ma la crescita dell’Italia e dell’Europa, e del mondo, tutto dovrà essere fuorché artificiale.

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