la riflessione
Non solo carriere e gelosie, l’Università rinasca riscoprendo il carisma
Un nuovo sessennio alla guida di una Università dovrà, per essere in grado di coniugare missione didattica a vocazione di ricerca
Le giovani generazioni, specie se in fase di formazione universitaria e postuniversitaria, colgono sempre più urgente la motivazione a riconoscere nella modernità una testimonianza di quanto, con operosa futilità, viene invece dimenticato, nascosto, infine sepolto dalla silente laboriosità delle strategie politiche che con tono di sprezzante sussiego si addentrano nelle vicende universitarie, specie alle scadenze elettorali di un nuovo sessennio alla guida di una Università.
L’inumare le speranze dei giovani, le loro considerazioni sul presente, le loro richieste formative di libertà e di interdisciplinare confronto è caratterizzante di una politica mediocre, abbioccata di privilegi, decrepita e tuttavia ringhiosa, pronta a elargire piccole questue quotidiane per beneficiarne un’omologazione sistemica in cui convogliare giovani e meno giovani in fase di formazione, al fine di monitorarli e di assuefarli a una progressiva indifferenza.
Così si va snaturando ogni loro gioia di apprendimento, riducendo i giovani a un infelice bacino elettorale.
L’Università, però, non può riconoscere il suo carisma addomesticandosi a un rinvio, che stigmatizza le giovani generazioni come scomode perché desiderose di conoscere, di apprendere, lasciandole senza risposte, appiattendole a infatuazioni di potere con cui suggestionarle cognitivamente per poi eticamente tacitarle. Significherebbe segnare i decisivi passaggi della vita, formanti e professionalizzanti al lavoro, con una rivelazione di menzogne, pedagogicamente congegnate, per assecondare a richieste esterne la crescita della consapevolezza e la maturazione di ciò che si apprende in un’aula universitaria.
Pertanto, un nuovo sessennio alla guida di una Università dovrà, per essere in grado di coniugare missione didattica a vocazione di ricerca, ripristinare il senso dell’unità disperso in rivoli di micropoteri, ognuno in grado di influenzare l’altro sino a un anestetizzato disordine, caos utile a valutatori/marrani – appassionati di cartomanzia e occultismo – e a fattucchiere di selezionare a un ruolo in base al profilo zodiacale dei candidati, invece che basandosi sul loro merito.
Dovrà, perciò, un nuovo sessennio, mostrare anche un riferimento concreto di premura e di tutela alla propria comunità accademica, docente e amministrativa, eticamente decentrata a disperdersi in scambi di visibilità. Questi contraccambi e abbagli, attrazione congegnata da mezzani che illanguidiscono fra libere professioni e raffazzonati espedienti della vita, arrugginendone i cardini nell’elemosina di carrierismi barati, inducono ad appendere alle tenebre l’iniziale lume vocazionale e al passato l’onore della missione. Si finisce infatti per prostituire la vocazione con il potere di gestire il brulicare raccapricciante di scie di politicanti, mediocri e perciò altezzosi, prepotenti e perciò ipocriti, pusillanimi e perciò iniqui, ritrovandosi tutti ascoltatori del requiem verdiano, che però onorò e celebrò Alessandro Manzoni: l’Università italiana, mutatis mutandis, è ancora un Alessandro Manzoni della formazione e della vocazione didattica; della missione pedagogica alla ricerca e alla professione; della cura dello studente e della custodia della sua dignità umana e intellettuale.
E tale rimarrà l’Università italiana sin quando non cercherà di arruffianarsi carabattole della politica, disperando per piccole questue, elargite da piattole politicanti, certe di essere già al governo, sebbene non ancora democraticamente elette. Una tale mezza politica, mediocre e vile, prepotente e biascicante, balbettante espressioni ripetute, politica dal lessico minimale, imbarazzante nel tentativo disperato di arzigogolare un pensiero definito tra idioma dialettale e lingua italiana approssimata, lascia un brivido di raccapriccio oltre che di nausea.
Ma la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, del 1874, in onore di Alessandro Manzoni, in quegli ultimi quindici minuti, che raccomando di ascoltare, del suo stupefacente e commovente finale, un meditato e profondissimo Libera me, congiunge terra a cielo, laicità estrema e ricerca di Dio, segnando anche un passaggio di esortazione a una vita redenta da illusioni, raggiri, scodelle, fazioni, gelosie, dissensi, invidie, inimicizie, pronostici volgari di maliarde imprestate all’Università illudendosi di imbastire malocchi mediante astri e astrologie…, un Libera me che dice nei suoi versi iniziali: Libera me, Domine, de morte aeterna, in die illa tremenda/Quando coeli movendi sunt et terra/Dum veneris iudicare saeculum per ignem.
È proprio nei momenti delle età particolarmente segnate da sofferenza e dai dies irae, che la vita recupera il senso suo di carisma personale e vocazionale, di ritrovata fiducia e di rigenerata novità: ugualmente un nuovo sessennio alla guida di una Università, deve considerare reale un rilancio dalla sofferenza, riscoprendo nel carisma di un’età pedagogica, finalmente priva di confronti inebetiti dalle carriere, una rivelazione sinodale e un’epocale sua rinascita.