L'analisi

Dietro le lacrime la voglia forte di pace per tutti

Gino Dato

Ci interroghiamo sulle lacrime di Leone XIV perché, se Francesco passerà alla storia come il Papa del sorriso, l'americano Prevost potrebbe essere ricordato come il Papa delle lacrime

Ma sono lacrime? E parlano di gioia quelle non trattenute e versate da Leone XIV, il nuovo pontefice? E il suo è un pianto di dolore? o di intensa emozione? Sono gocce che distillano la presenza dello Spirito o tracce di umanità che indulge ai sentimenti? Sono segni che parlano al mondo degli uomini di fede? E che ristorano anche gli spiriti laici?

Ci interroghiamo sulle lacrime di Leone XIV perché, se Francesco passerà alla storia come il Papa del sorriso, l'americano Prevost potrebbe essere ricordato come il Papa delle lacrime.

Ma che lacrime? Non le ha nascoste quando si è affacciato a piazza San Pietro, nel corso del suo primo discorso, ancor prima di lanciare il suo inequivocabile messaggio: «La pace sia con voi tutti».

Non saranno state le prime, sul suo volto commosso, le mani e le braccia che svettavano da un fisico agile per essere quello di un settantenne. Le avrà lasciate scorrere, quando, dopo aver accettato l'elezione e risposto alla domanda sul nome che intendeva assumere, si è ritirato nella «Stanza delle lacrime», nella sacrestia della Cappella Sistina.

In questo spazio raccolto e spartano, affreschi alle volte e mobili essenziali: tavolo, sedie, appendiabiti, divanetto, le avrà versate mentre misurava le talari bianche predisposte in taglie diverse.

Si chiama «Stanza delle lacrime» perché è il luogo dove i nuovi papi, una volta eletti, spesso scoppiano in lacrime, commossi e soverchiati dal peso dell'incarico che hanno appena accettato. Nelle cronache vaticane in questo luogo molti dei papi si ritrovano a dover combattere con l'emozione di un dialogo con lo Spirito santo ma anche con la Storia. Qui, per esempio, si narra che papa Giovanni XXIII, anni 77, prese a singhiozzare alla vista della talare. Qui Benedetto XVI parlò di «ghigliottina» per dare una definizione della sua elezione. Qui Francesco sbottò nella frase «Il Carnevale è finito, tengo le mie» di fronte alle scarpe rosse che avrebbe dovuto indossare quale simbolo dell’obbedienza al sangue versato da Cristo per redimere l’umanità.

Che siano dicerie o verità storiche, nel 2025, mentre Leone XIV comincia il suo pontificato, non è finito solo il Carnevale. La nomina cade in un momento storico di grandi tensioni che incrinano la serena convivenza degli uomini della Terra e che sembrano non si sciolgano con l'azione diplomatica. In questi ultimi anni abbiamo visto che a nulla o quasi sono riusciti i tentativi di superare gli aspri conflitti, principali dei quali ai confini dell'Europa e nel Medio Oriente.

Le lacrime più comuni che conosciamo con più frequenza sono perciò quelle di dolore e rabbia, di impotenza e odio per lo stato di perenne distruzione in cui viviamo. Potranno allora servire le lacrime del nuovo Papa? Potranno essere il collante e la pozione dell'ammonimento a non costruire più muri bensì ponti?

Trasformare le lacrime delle sofferenze e della barbarie in lacrime di gioia e di civiltà potrebbe essere la missione che il nuovo Papa può offrire ai contemporanei per conquistare una pace «disarmata e disarmante».

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