Al centro della fede pace e giustizia (ma senza bandiere)

fabiano amati

Eccolo. Compare. Leone XIV. Robert Francis Prevost, americano e senza l’accento da predicatore evangelico. Sale la loggia con l’andatura sobria e solenne di chi sa di entrare nella Storia senza doverla forzare e con umanissime lacrime. Ci entra con vesti che dicono molto, perché oltre Tevere tutto parla, a cominciare dal silenzio: la mozzetta, segno di autorità, e la stola, segno dell’innocenza, della sapienza e del buon pastore. Sembrava Paolo VI, con quel tratto da riformatore colto, da cristiano sobrio, da uomo del dialogo verticale con il Cielo per i migliori compromessi orizzontali nel mondo.

E poi ha parlato. Non un discorso politico. Spiace per tutti i politici che hanno passato la notte a cercare conferme alle proprie politiche. Nessuna dichiarazione sul Sud globale, sull’Ucraina, sul conflitto medio-orientale, sull’ambiente. Nessuna captatio per le conferenze episcopali, nessun assist ai cardinali o ai vescovi. Ha parlato come parla un cristiano. Semplicemente, ma con il tono di chi si rende conto di essere stato eletto Papa.

Pace. È stata la prima parola. Ma non la pace come hashtag, ma «La pace sia con voi!» E lo ha detto perché «Questo è il primo saluto del Cristo Risorto». Ha detto, insomma, ciò che non va di moda dire e cioè, con San Paolo (1Cor, 15, 17), «se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati».

E ciò per ricordarlo ai cristiani, ma anche per avvertire commentatori e speculatori di parole pontificali. Nulla vale e nulla ha senso in un discorso di un Papa e di un pastore cristiano se Cristo non è risorto. Pace a voi, dunque, non per ricordare la storia di Gesù e fargli sventolare bandiere di parte, ma per incontrarlo vivo. Non per fare memoria liturgica e retorica, ma per proclamare una realtà. Una presenza. Il centro della fede. Si può anche non credere in questo, ma se non si crede le parole del Papa non valgono nulla. Sono come quelle di tutti, magari benintenzionati, ma come quelle di tutti.

È stato un discorso cristiano e cattolico. Non da sociologo né da geostratega. Ha parlato da uomo che crede in Dio. Che porta la mozzetta, cioè l’autorità, solo in forza della resurrezione. E infatti ogni volta che ha ripetuto «pace», lo ha fatto come uno che la riceve dall’alto, non come uno che la fabbrica.

Ha detto che la pace del Risorto è disarmata e disarmante, perché nasce dal riconoscere che se si è in Dio il male è già stato sconfitto, non con la forza, ma con l’umiltà. Una pace che non accetta la guerra nemmeno come possibilità remota, perché il Risorto non ha bisogno di vincere. Ha già vinto. E ha vinto con perseveranza, anche sulla croce. Senza scoraggiarsi. Poi ha detto alla Chiesa: «Andiamo avanti». E qui non paia una coincidenza. Ma fu lo stesso invito di Benedetto XVI nello stesso momento della presentazione dalla loggia delle benedizioni. Andiamo avanti, per dire che la Chiesa non decide un Papa per cambiare o per tornare indietro. La Chiesa avanza, fino alla fine della storia. È un movimento sul senso della vita, escatologico e non ideologico. Va avanti, nella pace e nella giustizia.

Giustizia. Altra parola usata da Leone XIV, ma non notata opportunamente, perché sconveniente, perché invita a prendere posizione. Non c’è pace senza giustizia. Su questo basta la profezia di Isaia (32, 17): «Effetto della giustizia sarà la pace». Leone XIV ha dunque inciso pace e giustizia, non come slogan, ma per dire che la pace senza la giustizia è solo il silenzio e la resa del più debole.

E poi la devozione a Maria. Disarmante nella sua semplicità. La preghiera alla Madre, come un figlio che sa che da solo non può farcela e la benedizione, quella vera, in latino non per arcaismo ma per farsi udire da tutto il mondo: la benedizione che scioglie i peccati dell’umanità. Urbi et orbi. Benedizione piena, con indulgenza plenaria. Per continuare verso la fine della storia. Con misericordia. Perché Cristo è risorto.

Questo ha detto Leone. Ma perché ha scelto «Leone»? Lo dirà lui. Ma Papa Prevost è un patrologo, studioso dei Padri della Chiesa. E potrebbe aver scelto di andare lontano, a Leone Magno, colui che tenne insieme autorità e carità, dottrina e coraggio. Un Papa di confine, come quello che oggi ci è stato dato. Leone XIV. Un nome da ruggito, ma con la voce dolce del Risorto. Non un imperatore, ma un servo della verità. Non un agitatore, ma un uomo di giustizia e pace. Cristo è risorto. E dunque anche la Chiesa respira.

Habemus Papam. E che Papam.

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