il pensiero

Se la giustizia civile è inceppata a perderci è pure l’economia

Antonello Martinez

Nel nostro Paese senza tempi e applicazione certi delle sentenze non si esce dal tunnel

Che il funzionamento della giustizia civile sia un fattore determinante per l’economia di un Paese che vuole crescere non ci sono dubbi. Che in Italia il funzionamento della giustizia civile sia inceppato da tempo lo sappiamo pure. L’ha capito bene l’ex Governatore della BCE e Premier Mario Draghi che con i fondi del PNRR ha voluto puntare proprio a snellire i procedimenti civili che fino al 2018 duravano mediamente più di 7 anni. Questi non sono certo tempi ragionevoli per dirimere contenziosi che coinvolgono le imprese specialmente adesso che i cambiamenti a tutti i livelli sono velocissimi. Si fa in tempo a fallire, come succede non di rado, mentre si aspetta l’esito di un contenzioso.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si propone di ridurre, entro giugno 2026, del 40% la durata media di questi processi rispetto al 2019; e del 90% il numero di processi pendenti a fine 2022 (per quelli originati dopo il 2016 per i Tribunali e dopo il 2017 per le Corti d’Appello). Per raggiungere questi obiettivi, sono state avviate riforme come la digitalizzazione dei procedimenti, l’introduzione di metodi alternativi di risoluzione delle controversie e il miglioramento delle procedure esecutive e tributarie. Tuttavia, tra il 2019 e il 2023 la durata dei processi è diminuita solo del 17% e sarà difficile raggiungere gli obiettivi fissati.

Fin qui i propositi e le previsioni, ma come siamo messi in confronto ad altri Paesi d’Europa e del Mondo? Siamo al 52° posto nel Mondo per l’efficienza della giustizia civile secondo quanto certificato dal World Justice Project, progetto sostenuto anche dalla Commissione Europea, che cerca di misurare i livelli democratici della giustizia, della governance e dello stato di diritto.

Sono più avanti di noi nella graduatoria Paesi come l’Uruguay (18°), il Rwanda (29°), il Kazakhstan (35°), la Malaysia (38°), la Namibia (41°), il Cile (47°). Due sono i fattori che condannano senza appello la giustizia civile italiana: le sentenze arrivano con ritardi ingiustificati e per questo siamo agli ultimi posti nel Mondo (107°/142) e non vi è certezza che vengano rispettate e applicate (114°/142). Va meglio per altri aspetti. L’applicazione della giustizia civile nel nostro Paese non è considerata discriminatoria (37°/142) ma neanche tanto influenzata da interventi governativi impropri (49°/142).

Ma quali sono i Paesi virtuosi da cui imparare? Quelli del Nord Europa sono senza dubbio i migliori. La Danimarca è al primo posto seguita da Norvegia, Svezia e Olanda. La Germania è al quinto posto. Fra i Paesi del G7 l’Italia è ultima e fra quelli con maggior reddito è al 40° posto fra 47. Non è sorprendente che Cina (70°) e Russia (80°) stiano peggio di noi. I Paesi con i tempi più veloci, secondo i dati del World Justice Project, sono nell’ordine Singapore, Norvegia, Kazakhstan e Uzbekistan. I meccanismi alternativi di risoluzione dei contenziosi, che in Italia sono nella media globale, funzionano soprattutto nei Paesi Scandinavi. La corruzione non interferisce quasi in Danimarca, Norvegia, Korea e Nuova Zelanda.

Nel nostro Paese senza tempi e applicazione certi delle sentenze non si esce dal tunnel. La digitalizzazione dei procedimenti è un fattore determinante così come la semplificazione di norme, regole e decreti attuativi che tante volte sono in contraddizione tra loro.

L’Italia viene da sempre riconosciuta come la «culla del diritto» e non mancano giuristi di grande rilievo e intelligenza per sciogliere, con il beneplacito della politica, questo nodo che soffoca lo sviluppo economico del Belpaese.

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