L'analisi
Il dilemma italiano tra Costituzione e riarmo dell’Europa
I nostri soldati nell’esercito Ue sarebbero probabilmente obbligati a combattere in Ucraina, violando la Carta
L’Italia ripudia la guerra, l’Europa no. È questa contraddizione che sta spaccando le coalizioni e anche i partiti al proprio interno. Parliamoci chiaro: lodare la Costituzione italiana è facile, definirla la più bella del mondo procura alti ascolti in tv e molti cuoricini sui social. Mettere in pratica il senso profondo della carta costituzionale invece è più difficile, come la cronaca di questi giorni e di questi anni ci sta dimostrando.
C’è un articolo preciso nella Costituzione, l’articolo 11, che affronta il tema della guerra; le parole scelte sono nette, senza ambiguità. «L’Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali». «Ripudia» è una parola non comune, che fu scelta dopo molto dibattito: il presidente della commissione che scrisse la Costituzione, il moderato Meuccio Ruini, spiegò che erano state scartate parole più comuni. Fu scartata la parola «condanna», che sembra un richiamo etico che a un vincolo giuridico; e fu scartata la parola «rinuncia», che presuppone un diritto, «il diritto della guerra, che vogliamo appunto contestare» disse Ruini. Fa impressione la nettezza di quei politici di ottant’anni fa, che sapevano molto meglio di noi in cosa consista la guerra, dato che ne portavano ancora sulla pelle le cicatrici. E fa ancora più impressione se paragonata all’ambiguità della gran parte dei politici che in questi giorni devono prendere posizione rispetto al riarmo dell’Unione Europea, cui l’Italia aderisce. Giorgia Meloni, divisa tra la doppia fedeltà a Trump e a Von Der Leyen, è capace solo di dire che non le piace la parola «riarmo», come se il problema stia nelle parole e non nei fatti. È spaccato il centrodestra, tra due posizioni opposte come quella di Salvini che dice no ai fondi per le armi e quella di Tajani che invece ne è entusiasta. È diviso il «campo largo» delle opposizioni con Calenda in piazza per inviare più armi in Ucraina e Conte sulle barricate contro l’aumento delle spese militari.
Ed è terribilmente ambigua, infine, la posizione del Partito Democratico: la segretaria Schlein ha detto no al progetto di riarmo europeo da 800 miliardi, ed è stata contraddetta dai maggiorenti del suo partito, a cominciare dall’ex commissario europeo Paolo Gentiloni. La linea finale la sta dettando il padre nobile del Pd, Romano Prodi, che in tv ha spiegato che bisognerebbe partire dall’esercito comune europeo, prima di parlare di riarmo degli eserciti nazionali. Una linea che però dimentica quel dato di partenza: l’Italia ripudia la guerra, l’Europa no. Cioè l’Italia si è data una Costituzione pacifista, a differenza della Francia, della Spagna, del Regno Unito, della Polonia e in parte anche della Germania. Noi non facciamo guerre per risolvere le controversie internazionali; gli altri Paesi nostri alleati invece non si fanno questi scrupoli.
Le truppe italiane che dovessero rientrare in un futuro esercito comune europeo sarebbero probabilmente obbligate a combattere in Ucraina; e così l’Italia parteciperebbe a una guerra, violando la Costituzione. Non è un problema giuridico, ma è un tema politico. Nel senso più alto della politica: quale sistema di valori si dà un popolo e quali obiettivi si dà una nazione.
Proprio un secolo fa in Italia iniziò un ventennio in cui questi valori erano chiari: «La guerra, sola igiene del mondo - scriveva il futurista Marinetti - il militarismo, il patriottismo, le belle idee per cui si muore». E gli obiettivi lo furono altrettanto, incarnati dal fascismo di Benito Mussolini e dalla rovinosa alleanza con il nazismo di Adolf Hitler. «I venti anni durante i quali hanno dominato i profeti armati» disse durante i lavori della Costituente il deputato socialista Paolo Treves. Ora che in Europa e nel mondo tornano i profeti armati, la politica italiana deve sciogliere le ambiguità e dire con chiarezza da che parte stiamo: con il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, cioè con la storica tradizione italiana di mediazione e dialogo tra mondi diversi oppure con il riarmo dell’Unione Europea e quindi con la guerra come possibile soluzione finale. Una terza via al momento non c’è.