L'analisi

Sostenibilità e futuro: la Puglia alla prova dell’emergenza clima

Riccardo Amirante

Il contrasto ai cambiamenti climatici è spesso percepito come una responsabilità di altri, rinviata a figure istituzionali e settori specifici

Il contrasto ai cambiamenti climatici è spesso percepito come una responsabilità di altri, rinviata a figure istituzionali e settori specifici. Questo approccio rischia di allontanare dalla consapevolezza collettiva l’urgenza di un’azione diretta e attiva, nonostante gli eventi estremi e le perturbazioni ecologiche diventino sempre più frequenti, causando danni economici e mettendo a rischio la sicurezza delle persone.

L’attuale modello di pianificazione territoriale, urbanistica e industriale, attuato con l’approvazione delle nostre scuole di architettura e ingegneria, mostra limiti evidenti, rendendo urgente un ripensamento che includa riflessioni e contromisure sistemiche. Con il regolamento dell’Unione Europea 2018/1999, sono stati stabiliti obiettivi di decarbonizzazione al 2030 per tutti gli Stati membri. In questo contesto, l’Italia si è impegnata a installare 80 GW di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, puntando a ridurre le emissioni di CO2 nei settori più responsabili, come la produzione energetica, che incide per circa il 40% sul totale.

Alla Puglia è stato assegnato un obiettivo sfidante di 7,3 GW, partendo dai 7 GW già installati, un traguardo che richiede la collaborazione e il coinvolgimento di tutti gli attori regionali: dai settori produttivi come l’industria, l’agricoltura e il turismo, fino alle governance regionali e alle associazioni ambientaliste. Proprio in queste settimane importanti provvedimenti normativi sono oggetto di attenzione da parte dell’opinione pubblica locale: il disegno di legge regionale sulle c.d. «Aree idonee» ed il Piano Energetico Ambientale Regionale che definisce la politica energetica regionale.

Il primo risponde al DM nazionale del 21 giugno scorso, e pone le regole per definire le aree idonee che possano beneficiare di un processo semplificato di installazione degli impianti a fonti rinnovabili. Il provvedimento ha suscitato incomprensibili reazioni avverse. Incomprensibili perché sembra non voglia prendersi atto di una scala di priorità che non è più negoziabile. Tale negoziazione, infatti, porrebbe in essere le solite opzioni che spaziano tra un rinnovato incremento di metano, tra l’altro non nelle disponibilità nazionali o, peggio, il ricorso al costoso nucleare, il cui combustibile, in ogni caso, non è reperibile in Italia e con i rischi che questo inevitabilmente comporta in sicurezza.

Sullo sfondo ricompaiono gli scenari «Trumpiani» di una nuova valorizzazione del petrolio e dei suoi derivati gli «idrocarburi». Purtroppo, è doveroso dover rimarcare che il ricorso a queste soluzioni trova una comoda giustificazione nel fatto che tra tutti gli elementi chimici della tavola periodica di Mendeleev, gli elementi H (idrogeno) e C (carbonio), nelle loro diverse combinazioni, a formare appunto gli idro-carburi, propongono un allettante contenuto energetico ed un prodotto di combustione gassoso (in prevalenza CO2) e quindi «facile» da disperdere nell’atmosfera e, per altro, non immediatamente velenoso per l’uomo. Ma questa «comoda» soluzione determina un’enorme immissione di gas serra ed una spirale di rapidissimo peggioramento della situazione ambientale.

A fronte di tali priorità si ascoltano e leggono pareri distonici, anche da tecnici di dichiarata lungimiranza, per altro non certo appartenenti allo stuolo di populisti negazionisti. In nome di un presunto rispetto dell’ambiente, confinato ad un nostalgico tema di rispetto del paesaggio, si insabbiano le cruciali criticità, come quelle che vivono, ad esempio, gli imprenditori del comparto agricolo nel percepire l’impoverimento delle risorse idriche, la desertificazione dei suoli e la conseguente diminuzione dei ricavi, come quelli percepiti dai pescatori, che vedono annullati gli sforzi di generazioni tese a mantenere un equilibrio riproduttivo della fauna marina, completamente sconvolta dalle migrazioni delle specie (anche in termini di profondità) a causa delle temperature dei nostri mari, dai cittadini tutti, sempre più intrappolati in zone denominate «isole di calore», ormai coincidenti con la totalità delle città.

Diviene quindi una partita per la sopravvivenza di tutte le specie viventi che conosciamo oggi, ma la cui responsabilità è solo nostra! Questo significa che dobbiamo valutare ed accettare realisticamente altre idee e forme di paesaggio, in una sorta di nuovo risorgimento, che includa le energie rinnovabili tra gli scenari ad esse compatibili, in una compartecipazione, non speculativa, con i diversi sistemi produttivi della nostra regione. Ben vengano le tecnologie disponibili, agrivoltaico, fotovoltaico urbano e industriale, eolico off-shore e dove possibile on-shore, piccoli impianti a biomassa per chiudere le filiere dei sottoprodotti agricoli, in un’ottica di sostenibilità e nel rispetto delle ricchezze dei nostri territori.

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