L'analisi
Quando il centrosinistra cancellò il Mezzogiorno dall’«altra» Costituzione
Da qui, la preoccupazione per la «parola divenuta mancante»
Il Mezzogiorno è un identificativo geo-demografico scomparso dalla Costituzione dopo 53 anni. Da qui, la preoccupazione per la «parola divenuta mancante». Al riguardo, nessuna riflessione critica (neppure nel corso del Festival delle Regioni) su quanto deciso nel 2001 dal centrosinistra. La stessa revisione che introdusse: il concetto di Repubblica (art. 114), il regionalismo asimmetrico (art. 116.3), i Lep (art. 117.2) e il federalismo fiscale assistito dalla perequazione (art. 119).
Continuare nel silenzio, si genererebbe un errore storico, culturale e politico. Si rischierebbe di far passare il contenuto attuale della Costituzione, senza riferimento alcuno al Mezzogiorno, come il prodotto dei Padri costituenti entrato in vigore il 1948. Quella Assemblea composta dalle eccellenze di uomini e di (ventuno) donne (tra le quali, due abruzzesi, una campana e due siciliane) che pensò ad un Mezzogiorno dalla uguale esigenza unitaria nonostante fatto di Regioni diverse.
Di conseguenza, per una corretta lettura della attuale Carta, occorre tenere presente che la mancata previsione del Mezzogiorno nella Costituzione, non appartiene affatto alla penna dei vari De Gasperi, Togliatti, Pertini, Nenni e Saragat bensì alle successive revisioni parlamentari (art 138).
Esiste dunque una Costituzione simbolo della liberazione (1948) e un’altra «politica» (2001) nonché influenzata dall’UE (2012). La prima fu espressione di tutti i nobili Padri impegnati a dare una ragione al Paese con la messa da parte del fascismo sconfitto e la rinascita della Nazione all’insegna dei diritti civili e sociali riconosciuti a tutti.
Le altre ventuno revisioni - frutto del lavoro del Parlamento, alcune volte confermato dal popolo con lo strumento referendario in assenza delle maggioranze parlamentari prescritte per l’occasione – è giusto che vengano invece definite come risultato preteso dalla politica avvicendatasi.
Con le decine di revisioni andate in porto dal 1963 si è ridisegnato il sistema Paese, con la riattribuzione delle funzioni legislative e amministrative nonché con la riscrittura del finanziamento pubblico delle autonomie territoriali. Quest’ultimo rimasto sulla carta così come sono rimasti allo stato teorico i Lep, individuati nel 2001 come strumento di uguaglianza da percepire ovunque dai cittadini.
Riprendendo il tema della Costituzione e il Mezzogiorno, c’è da sottolineare che nella Carta scritta dai e dalle Grandi del Paese il meridione era considerato «una testa di serie». Ciò nel senso di sito geo-demografico da privilegiare nella sua valorizzazione complessiva, attraverso il ricorso ad apposite risorse, definite speciali. Da qui, le politiche che si svilupparono a sud di Roma che, per molti versi, diedero una linfa vitale alla crescita del Mezzogiorno nel periodo del boom economico, che ivi però non risultò francamente tale omogeneamente, a causa della inadeguatezza delle governance avvicendatesi nelle Regioni più a sud del Sud.
La revisione del 2001 lo ha espulso nominalmente. Ha reimpiantato le logiche, imperniando e garantendo il budget sociale sulla ineludibile erogazione ovunque dei Lep. Così facendo ha individuato l’uguaglianza sostanziale dei diritti civili e sociali da sostenere, in via ordinaria, con il federalismo fiscale al lordo della perequazione. Una garanzia, dunque, ad oggi residuata tuttavia allo stato teorico, da imporre con risorse, provenienti (chissà quando) dalla fiscalizzazione dei trasferimenti, a beneficio delle famiglie e della società civile meridionali.
Per quanto riguarda il resto, intendendo per tale prioritariamente il patrimonio infrastrutturale, il Mezzogiorno lo si è fatto rientrare nella parte restante del Paese: risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo economico, la coesione, la solidarietà sociale nonché per favorire la percezione dei diritti delle persone. Una condizione, questa, bella a leggersi sul piano del trattamento egualitario della Nazione intera ma che ha suscitato da subito verosimili timori, tenuto conto della carenza assoluta di risorse nazionali e di uno spreco fatto di quelle europee, che sarebbero state tanto utili a garantire una perequazione infrastrutturale. Non lo si è fatto neppure con il Pnrr, destinato ad una polverizzazione di investimenti, a manutenzioni non avvedute e senza un programma comune nonché a realizzazioni progettuali obsolete, risalenti finanche ad una delibera Cipe del 1992.
Il tutto senza prevedere al suo interno le basi per ripartire con un Mezzogiorno, da proiettare nella ricerca di assumere un ruolo di primo piano anche nelle elaborazioni e nella messa terra della IA, altrimenti a rischio di perdere anche l’ultimo treno. E dire che il Mezzogiorno - attraverso la Commissione Intermediterranea (CIM) presieduta da un presidente di Regione del Sud, Roberto Occhiuto - potrebbe altresì saltare ogni genere di problema sulla negozialità internazionale divenendo un hub istituzionale per competere in una Europa allargata e nel Mondo intero. Forse un regionalismo asimmetrico sensato, realizzato con una maggiore simmetria e complementarietà dalle Regioni del Sud, potrebbe aiutare.