L'analisi

Quei bambini incollati allo smartphone

Rossana Gismondi

La politica, che teoricamente dovrebbe avere cura dei propri cittadini è, come al solito nel nostro Paese, distratta: qui da noi si è più lesti a piazzare un divieto di sosta che un impedimento per un attentato alla salute mentale dei nostri figli

Bari, domenica pomeriggio in un elegante bar cittadino. Sono in attesa di una persona, in piedi, dinanzi all’ingresso, vicino al bancone. Il locale è pieno di coppie giovani, alcuni hanno con sé bambini. Tre di questi bambini sono seduti ad un tavolino poco distante dai genitori: tutti e tre, in mano, hanno uno smartphone. Li guardo: i due maschietti di 8 – 9 anni sono alle prese con un videogioco, ogni tanto si scambiano una parola, sempre con gli occhi fissi con gli occhi fissi sullo schermo luminoso. Poi c’è lei: una bimbetta di cinque anni scarsi.

Deliziosa, con i fiocchetti tra i capelli ricciolini: pure lei ha un telefonino tra le mani. Sbircio: non sta giocando. Il suo minuscolo indice scrolla, con una maestria e una ritmica adeguata allo scorrere delle immagini, che mi colpisce. Cosa può guardare, scrollando, una bimbetta di quell’età? Dei cartoni animati? Mi sposto leggermente per mettere a fuoco. E vedo la scena di un film di quelli in voga tra i giovani, una specie di horror soft dove non scorre mai sangue, coi vampiri che sono giovanotti affascinanti solo un po' diversi dagli umani, ma che sempre vampiri restano: nel senso che il ragazzetto a un certo punto del filmato morde la ragazzetta sul collo. «Signora – mi sento chiamare- vuole sedersi?». È, verosimilmente, una delle giovani mamme dei tre bimbi avvicinatasi persino con una certa cortesia. Rispondo che no, grazie, attendevo una persona e non desideravo sedermi. Mentre avrei voluto risponderle che parcheggiare la sua bimba dinanzi ad un telefonino, libera di scrollare filmati equivale a lasciarla per strada, alla mercé di chiunque. Invece taccio, perché diventerei un fiume in piena tempestosa e non mi pare il luogo. La mamma torna al suo posto. Io mi allontano di qualche passo: basita, allibita, sconcertata da ciò che avevo appena visto. Una bimba di pochi anni a guardare sullo smartphone, qualcosa che non dovrebbe vedere. Inadatta alla sua capacità di valutazione e distinzione tra realtà e fantasia. Non faccio la solita considerazione da boomer (come si usa dire), cioè che a quell’età dovrebbe stare a pettinare le bambole etc: ma, insomma.

Tuttavia rifletto su che cosa ne sarà di quella deliziosa creatura con i fiocchetti nei capelli quando, tra qualche anno, affronterà il mondo reale. Avrà elaborato le necessarie difese contro le insidie reali, dove i vampiri fanno male, magari saranno altri ragazzini che passano il tempo proprio come lei alla mercé di qualsiasi tipo di immagini e narrazioni? Ecco: non bisogna andare troppo lontano o chissà in quale scenario sociale degradato o pensare il solito non-mi-riguarda. Perché il futuro prossimo venturo - di tutti noi, nessuno escluso - è quella bimbetta abilissima a scrollare una rappresentazione viziata della realtà.

La famiglia, intesa come istituzione di prima difesa è in via di dissolvimento per manifesta, terrificante, ignoranza. La politica, che teoricamente dovrebbe avere cura dei propri cittadini è, come al solito nel nostro Paese, distratta: qui da noi si è più lesti a piazzare un divieto di sosta che un impedimento per un attentato alla salute mentale dei nostri figli. E mentre a Palazzo si discetta sul caso eventuale-di tassare-ma-anche-no i profitti stramiliardari dei giganti della rete (padroni di quello smartphone e del futuro di quella bimbetta) alcuni Paesi stanno correndo ai ripari con interventi, leggi mirate su scuola e famiglia per arginare questo futuro da incubo. Sperando ottimisticamente che non sia troppo tardi, pensando realisticamente che, forse, lo è già.

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