La riflessione

Giorgia Meloni a tutto campo, ma sull’ex Ilva tocca attendere

Biagio Marzo

Alla conferenza stampa c’era un convitato di pietra: Acciaierie d’Italia, tutti conoscono il caso ma nessuno ne parla per timore

Il day after. Dobbiamo dire che nella conferenza stampa c’era un convitato di pietra: Acciaierie d’Italia. Tutti conoscono il caso e nessuno ne parla per timore. Alcun giornalista ha posto la domanda sull’ex Ilva alla Presidente Meloni e la medesima consapevole che l’8 gennaio ci sarà l’incontro, ha parlato, naturalmente, d’altro. Le acciaierie di Taranto sono un bene di interesse nazionale che costerebbero più chiuderle che tenerle in produzione. Quanto costerebbero la cassa integrazione, le bonifiche degli impianti e quant’altro?

Certuni non calcolano il disastro sociale, come se su Taranto cadesse una specie di bomba «atomica tattica» o da «zaino». Si parla impropriamente di nazionalizzazione, ci si preoccupa dell’arrivo di un commissariamento, ma siamo solo e soltanto nel campo delle ipotesi, finora le chiacchiere stanno a zero. Frattanto, due uscite anomale dai cammini del siderurgico per mancanza di ricambi per l’impianto. Alla presidente Meloni è stata posta la domanda quante sono le periferie in Italia e alcuno l’ha «pizzicata» sullo «stato dell’arte» degli stabilimenti siderurgici di Taranto, di Genova e di Novi Ligure. Conoscendo di quale pasta è fatta la Presidente non si sarebbe sottratta. A questo punto aspettiamo l’esito nel bene e nel male dell’ ex Ilva oggi Acciaierie d’Italia, con l’azionista di maggioranza Arcelor Mittal con il 62% e Invitalia il restante 38%.

Grande era nel mondo dell’informazione e della politica l’attesa della conferenza stampa della presidente del consiglio. Per ben due volte, era stata rinviata per ragioni di salute e motivo per cui era cresciuta, da parte dell’informazione e della politica, la curiosità per quello che Giorgia Meloni avrebbe detto, in seguito alla luce delle inaspettate vicende politiche. Gli avvenimenti politici hanno incalzato, ultimamente, la presidente Meloni, - per esempio, il Mes, l’emendamento «bavaglio» Costa, il caso Anas - Verdini, la vicenda del parlamentare pistolero Pozzolo sospeso da FdI -, per cui era scontata che avrebbe avuto vita difficile.

Viceversa, nella conferenza stampa non ci sono state fuoco e fiamme, ci sono state dopo. I giornalisti, al contrario delle giornaliste, sono stati soft e al massimo hanno usato il fioretto, l’opposizione politica, però, ha disotterrato l’ascia di guerra ed è andata all’assalto. Ad onor del vero, Renzi in gran parte e a ruota Calenda si sono distinti in una opposizione dura e pura, quasi inesistente il Partito democratico preso da una afasia inattesa.

Detto questo, la presidente del consiglio ha avuto la forza di superare la prova del nove della conferenza stampa da professionista della politica, non risparmiandosi su nulla e non risparmiando attacchi a tutto tondo agli avversari politici. Ha giocato a tutto campo con il possesso del pallone. Fatto sta che ha circumnavigato affrontando i cavalloni della politica e le difficoltà dei problemi che travagliano il Paese Italia. Sicché, con la conferenza stampa, la Presidente Meloni di fatto ha aperto la sua campagna elettorale, puntando sulla riproposizione della «maggioranza Ursula» con il sostegno convinto di Tajani e non di quello di Salvini cui ha teso la mano sull’affaire Anas-Verdini sulla cui inchiesta - ha detto- bisogna attendere la magistratura. Precisando che Salvini non viene chiamato in causa e non «non ritengo che debba venire in Aula» a riferire. Sul piano economico la parola d’ordine sarà: «Più tagli alla spesa, meno tasse e avanti con le privatizzazioni». Non proprio queste sono ascritte nella narrazione sovranista, piuttosto in quella thatcheriana. Una cosa è certa, Giorgia Meloni in grande spolvero e alta di molte spanne rispetto ai suoi di FdI e agli alleati di governo. Ragion per cui, in vista della di lei presidenza del G7 ha inviato un messaggio in bottiglia a quelli di FdI a non scivolare su banali bucce di banane. Meno si parla meglio è. D’altronde, inappuntabile sull’Ucraina, totale assonanza con Israele e rigorosa sui rigurgiti antisemiti.

Non è stata un fatto imprevisto, l’evocazione di manovre contro di lei, ma lei ribadisce che non è «ricattabile da nessuno». «Affaristi e lobbisti non se la passano bene con il mio governo». E, comunque, non può sfuggire dal fatto che, per dare trasparenza alla nostra democrazia, una volta o l’altra, deve dire chi ordisce le trame contro di lei. A tal fine, farebbe un favore sia a se stessa sia agli italiani. Non è un problema di poco conto, quello che più volte ha sollevato la presidente Meloni, visto che, in Italia, ne abbiamo viste di tutto e di più: stragi di Stato, brigatismo, stragi di mafia, l’assassinio di Aldo Moro, persecuzioni giudiziarie nei confronti di leader politici, governi sciolti per via giudiziaria. Basta e avanza. E non vorremmo che ci fosse un revival, con il «favore delle tenebre», per dirla con la di lei espressione. Insomma, si è mossa su medesimo terreno del ministro Crosetto: «Preoccupato di alcune tendenze che vedo emergere in alcuni settori della magistratura».

In sintesi, ha giocato di rimessa e talvolta il pallone l’ha gettato in tribuna talatra nell’Aula parlamentare. Spesso si è portato il pallone da destra a sinistra o viceversa, scegliendo l’avversario. Guarda caso, disponibile a un faccia a faccia con Elly Schlein e non con Conte, anzi lo ha criticato, avendo fatto ricorso al Gran giuri’ alla Camera sul caso Mes. Quando afferma che potrebbe votare per il presidente della Commissione europea, senza entrare nella maggioranza, foss’anche così non avrebbe di certo un commissario di prima fascia e per l’Italia sarebbe uno smacco, visto che è una delle nazioni fondatrici dell’Unione europea. A ben vedere , è una delle parti più politiche del suo intervento: annunciando mai al governo con la sinistra. Nel contempo, non scopre per nulla le carte e si tiene saldamente in mano la presidenza del Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, partito di destra con tutte contraddizioni politiche interne. Votare per Von der Leyen o chi per lei e non essere, nel contempo, in maggioranza, Dio solo lo sa. Restando in Europa, è indecisa se candidarsi o meno come capolista nelle cinque circoscrizioni. Tuttavia, siamo convinti che si presenterà costringendo gli altri leader a fare altrettanto. In tal senso, non ha dato a Salvini, sino alle elezioni europee, margini di manovra sul terreno politico per recuperare voti a destra. Entrando in modalità campagna elettorale lei non fa favori agli alleati tantomeno agli avversari. L’identità con cui ha vinto le elezioni è sacra e non se ne parla di cancellare dal simbolo di FdI la «Fiamma» di tradizione missina.

Il pallone Mes e quello dell’emendamento Costa li ha calciati verso il Parlamento. Sull’emendamento Costa, per la vulgata legge «bavaglio», Meloni ha detto che la norma è stata presentata da un parlamentare dell’opposizione e l’Aula si è pronunciata liberamente approvandola. Bene, male per quanto riguarda la riforma della giustizia che è restata al palo, benché abbia promesso che sarà messa in cantiere, nel corso 2024. Contenta anche se non sta completamente nelle sue corde il Patto di stabilità, sul Mes «quello che ho fatto è stato rimettermi all’Aula, il governo si è rimesso all’Aula ed e stato bocciato». Non c’è che dire scaltra nel cercare di gettare il pallone fuori dalla sua area di gioco.

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