il commento
Davvero sta aumentando l’occupazione in Italia? E quanto precariato...
Il dato necessita di essere analizzato più a fondo
Nel dibattito di questi giorni, l’aumento dell’occupazione è presentato come il principale risultato positivo del Governo Meloni nel campo della politica economica. Ma così non è, per varie ragioni, nel senso che il dato necessita di essere analizzato più a fondo.
Innanzitutto, occorre considerare che il fenomeno è comune a molti altri Paesi OCSE e che rientra, dunque, in una dinamica globale, imputabile, secondo molti analisti, alla ripresa successiva alla crisi sanitaria degli scorsi anni. L’Istat, infatti, certifica che l’occupazione, in Italia, è costantemente aumentata dal 2021 e che, soprattutto fino al 2022, ciò dipende soprattutto dalle misure assunte dal Governo Conte II e Draghi: superbonus 110% e PNRR. La ricerca scientifica sull’argomento mette, infatti, in luce la considerazione che le politiche del lavoro richiedono tempo – generalmente un anno e oltre – per produrre effetti significativi sull’occupazione.
Ma vi è di più. Istat registra un aumento del tasso di disoccupazione, ovvero del rapporto fra numero di occupati e individui che sono alla ricerca del lavoro. È ben noto in letteratura il fenomeno del lavoratore scoraggiato: soprattutto in fasi recessive, quando la domanda di lavoro da parte delle imprese cala, è bassa la probabilità di trovare impiego e si riduce il numero di individui alla ricerca di lavoro. Si riduce, per conseguenza, il denominatore e, per una pura illusione statistica, il rapporto aumenta: in altri termini, vi è un calo della forza-lavoro che determina un aumento del tasso di occupazione, ma non del numero di occupati. In larga misura, è quanto sta succedendo, come dimostra il caso (quantitativamente crescente) dei Neet – ovvero di individui, soprattutto giovani, che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione – e di coloro che si dimettono. La riduzione del numero di individui in cerca di occupazione è anche dovuto al saldo demografico negativo e alle emigrazioni.
Viene stimato che, a ottobre 2023, gli occupati sono aumentati di 27 mila unità e i disoccupati sono aumentati di 45 mila unità. Non vi è, dunque, molto da vantarsi e risulta confermato l’effetto illusorio del calcolo del tasso di disoccupazione.
Per comprendere ulteriormente la questione, è sufficiente soffermarsi sul nesso fra occupazione e crescita. Con un aumento significativo dell’occupazione, la crescita economica sarebbe ben superiore all’attuale modesto 0.7% (previsione della Commissione europea per il 2024). Vi è poi anche da considerare che l’accentuata deindustrializzazione del Paese sta comportando cali significativi di produttività e, dunque, incrementi di occupazione tali da compensare questo problema.
Non è poi possibile stabilire nessun nesso fra il superamento del reddito di cittadinanza e l’aumento del tasso di disoccupazione. Quello che è noto, al momento, è semmai che coloro che percepivano il RdC – e che, per la nuova normativa, hanno dovuto seguire corsi di formazione – sono in larghissima parte non ancora occupati e, peraltro, spesso senza nessuna forma di sussidio.
E’ inoltre importante notare che la quasi totalità dei nuovi occupati ha un contratto precario. Se anche cresce (poco) l’occupazione (ma, come si è visto, cresce anche la disoccupazione), non migliora la qualità dell’occupazione. La deindustrializzazione accentuata dell’economia italiana comporta infatti che la domanda di lavoro delle imprese si collochi in segmenti del mercato del lavoro con bassa specializzazione. Nel Mezzogiorno, il fenomeno è più accentuato: sia sufficiente considerare che la ristorazione è il comparto che esprime molta e crescente domanda di lavoro. Il problema è poi amplificato dal correlato dell’eccesso di istruzione e delle migrazioni (soprattutto giovanili e intellettuali): molti giovani istruiti non trovano un impiego coerente con la qualificazione acquisita e trasferiscono il loro potenziale produttivo da Sud a Nord o dall’Italia all’estero.
Sul fronte dell’occupazione, inoltre, due recenti scelte del Governo non depongono bene. Innanzitutto, la revisione del PNRR, con il lascito di opere forse incompiute da parte dei piccoli Comuni, frena molti investimenti privati. In secondo luogo, come attestato dall’ultimo rapporto Cresme (dicembre 2023), il superamento del superbonus 110% ha già prodotto un crollo degli investimenti nel cruciale settore delle costruzioni di circa il 65% nell’ultimo anno.
Ma la principale fonte di preoccupazione riguarda l’effetto, nel mercato del lavoro italiano, delle dinamiche globali, a partire dalla recessione tedesca. L’economia italiana – soprattutto al Nord – è fortemente sincronizzata con il ciclo economico della Germania e vi sono fondate ragioni per temere un consistente calo di ordinativi per le nostre produzioni intermedie e, dunque, a seguire dell’occupazione interna.