L'analisi
Quella dimensione «eco-centrica» che fa bene alle carriere
L’abbandono dei posti di lavoro, la transizione digitale e l’IA, la transizione generazionale, il cambio dei paradigmi relazionali in campo educativo, famigliare e lavorativo, stanno generando disorientamento, confondono gli esperti e gli addetti ai lavori che si cimentano in previsioni e dibattiti sull’attualità del lavoro e del sistema impresa
L’abbandono dei posti di lavoro, la transizione digitale e l’IA, la transizione generazionale, il cambio dei paradigmi relazionali in campo educativo, famigliare e lavorativo, stanno generando disorientamento, confondono gli esperti e gli addetti ai lavori che si cimentano in previsioni e dibattiti sull’attualità del lavoro e del sistema impresa.
Anche per i più giovani che si apprestano a scegliere i percorsi di carriera, iniziando dalla scelta degli studi, è complesso comprendere quali sono le competenze più richieste e cercate, meglio retribuite dal mercato del lavoro. La necessità di scegliere tra discipline umanistiche e scientifiche/ tecniche, investire nelle le competenze digitali che sembra sostituiranno alcune professioni. Il confronto è aperto ad esempio sull’opportunità di studiare nelle università italiane del proprio territorio o in quelle ritenute come più prestigiose, pubbliche o private delle città del Centro e Nord del Paese, se andare all’estero o restare, se partire ma poi ritornare.
Molti si chiedono quanto «vale» un’esperienza all’estero, per le lingue, per fare un’esperienza di autonomia di vita, per sapersi gestire e organizzare lontano da casa e dagli affetti, per aprire la mente e vedere altri sistemi sociali e di organizzazione della vita e del lavoro. Serve averlo sul proprio curriculum? È indispensabile? Ovvero, la scelta lineare di un’esperienza condotta nel proprio paese e nella propria città, è un elemento di svantaggio e di penalizzazione in assoluto?
Qual è l’X Factorche si cerca nelle imprese e che consente di avere quel valore aggiunto rispetto allo studio e alle esperienze di vita?
C’è qualcosa di non comune che si trova nei migliori candidati e nei/lle lavoratori/trici: la dimensione eco-centricità che determina comportamenti prosociali. La società contemporanea esalta il primato della soggettività, tutto è centrato sull’ipertrofia dell’Ego. Ma sappiamo bene che la persona è relazione e per questo soltanto a partire da dinamiche funzionali di relazione può contribuire allo sviluppo e al benessere di un sistema.
Essere eco-centrici, significa riconoscere il bisogno di equilibrio interiore, a partire dal proprio organismo che è un unicum di equilibri bio e psico logici interdipendenti, fino alla capacità di generare comportamenti eco-logici negli ambienti esterni, in cui si vive. Come in natura, infatti anche per le persone è presente un equilibrio che genera salute e sostenibilità del sistema vivente. I comportamenti prosociali sono azioni positive fondate sul principio della solidarietà, dell’empatia e dell’altruismo, che stimolano la reciprocità nelle relazioni interpersonali o sociali e in modo continuativo nel tempo.
Per i sistemi organizzativi e per la società queste persone offrono spontaneamente qualcosa che va molto oltre la logica del contratto, perché mettono in gioco il valore della reciprocità relazionale.
Sono competenze quelle relazionali solidali che possono essere acquisite per imitazioni di modelli, fin dalla più tenera età, nelle famiglie, nelle esperienze associative e di volontariato, nei gruppi sociali con forte orientamento alla relazione e ai valori universali che si ispirano alla fraternità, alla solidarietà, all’aiuto reciproco e al bene comune. In questo senso, sviluppare i propri talenti in ottica di contributo sociale e universale, significa non solo perseguire una crescita individuale ma soprattutto favorire lo sviluppo del gruppo e del sistema circostante, che si alimenta di cooperazione non di competizione, che può godere di benefici collettivi e non solo individuali.
I risultati e i titoli più prestigiosi, senza il saper essere Eco-centrici e prosociali, può anche presentare un‘idea disfunzionale di successo e di crescita di persone e gruppi e, laddove la nostra società lascia segni positivi duraturi nel tempo, sicuramente ci sono state persone che hanno saputo donare del proprio, per amore e per passione andando oltre la valutazione di un ritorno immediato e individuale.
Tutto il nuovo paradigma di relazione si fonda sulle competenze dell’essere persona in relazione reciproca e attraverso questa lente si possono affrontare le sfide che i cambiamenti del lavoro ci stanno ponendo. Le scienze umane e la dimensione spirituale possono contribuire a riallacciare le componenti dell’essere persona che si sono divise nel corso della storia, sotto le spinte individualistiche di potere invece che di bene e ben-essere comune, restituendo una visione unitaria alla vita, tra essere e fare, tra natura e cultura.