L'analisi

Viaggiatori chic e turisti «plebei»: la Puglia bella non storca il naso e accolga tutti come Dio comanda

Lino Patruno

«E così, sempre a Bari, l’ineffabile polpo e la birra sudata. Tra puzzette al naso, possibile che Bari sia solo questo e che Lecce sia un dolce sia pur divino snobbando tanto di barocco attorno?»

Quanto sa di untuoso questa storia secondo cui non bisogna confondere i turisti con i viaggiatori. I primi una sorta di plebe della situazione, i secondi una circoscritta nobiltà. Che così è, in fondo. Ma avessimo avuto solo viaggiatori e non turisti, saremmo ancora ai Goethe dell’Ottocento con tutto il rispetto. E saremmo ancora al loro primo comandamento: non andare per raggiungere qualcosa ma per il solo piacere di andare. Saremmo al Bruce Chatwin della vita stessa che è un viaggio da fare a piedi, anche in questo caso con tutto il rispetto. Ma non saremmo ai due miliardi di persone che ogni anno si muovono non solo per andare, ma per puntare una meta, ahinoi, più o meno le stesse mete, tutti insieme appassionatamente o sopportabilmente. E meno male, visto che un tempo si muovevano soprattutto gli eserciti.

E poi, gira e gira, i turisti sono tutti dello stesso legname. Deserto della Namibia, agosto. Sosta a un distributore di benzina dove dicono ci sia un bar che fa una buona torta di mele. Nel deserto. Code per la torta di mele, magari per dire che la sappiamo fare molto meglio a casa nostra. Sono le stesse code sotto il sole crudele per la focaccia a Bari, o per il pasticciotto a Lecce. Ma come, vieni da dove vieni con tanto di volo e non sai pensare che alla torta di mele, alla focaccia e al pasticciotto? Il turista alla buona ha il difetto di mangiare. E di vivere la vita locale soprattutto con la cucina, che poi non solo un modo di mettere qualcosa sul fuoco.

E così, sempre a Bari, l’ineffabile polpo e la birra sudata. Tra puzzette al naso, possibile che Bari sia solo questo e che Lecce sia un dolce sia pur divino snobbando tanto di barocco attorno? Per ora teniamoceli, come si tengono noi della torta di mele in capo al mondo. Ma mangiati la mozzarella, dice Checco Zalone a chi filosofeggia se sarà genuina, artigianale ecc. ecc. Anche perché la prima cosa che ti chiederanno al ritorno è: ma come, sei andato fino lì e non li hai assaggiati? E poi, non li hanno inventati apposta i menu turistici? È come se ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto questo. Anzi non etico.

Il fatto è che così il novanta per cento di quei due miliardi di non-viaggiatori sarebbero sbagliati. Sono quelli la cui prima (o seconda) preoccupazione è brandire un cellulare per fotografare o selfieggiare tutto invece di osservare con più lentezza: magari con l’occhio della mosca che vede a 360 gradi. O con lo sguardo di Magellano, che vede oltre. Anzi quello scatto pronto all’uso deve finire immediatamente sui social, nel tempo del tutto veloce e del tutto condiviso: «Mi piace». Ma ti fai mille chilometri solo per questo? Li facciamo, li facciamo.

Ché poi il turismo sia responsabile e consapevole, chessò, se vanno tutti in uno stesso posto cosa ne lasceranno, cosa ne combineranno? Un porcile. Soprattutto il turismo sia sostenibile, aggettivo che tutti raccomandano ma che due su tre non hanno mai capito cosa significhi. Vuol dire che i luoghi calpestati dovrebbero poterlo sostenere, che ce la facciano senza uscirne ammaccati. Ciò che in fondo è giusto. Ma non tutto è Venezia, che si può (e magari deve) consentire il numero chiuso, tanti ammessi in tanto tempo. E non tutto è fragile come un Everest, che sembra uno stadio dopo un concerto di Vasco Rossi. E il turismo sia rispettoso delle persone, non puoi fare domande spocchiose come se tutti i nativi fossero dei selvaggi.

Insomma questo eccesso di turismo deve comunque soddisfare l’amor proprio soprattutto di chi non lo ha mai avuto. Ma ci sono sempre quelli del «basta» con l’overtourism, l’iper-turismo. Sentito dire anche a Bari, in una città vecchia che prima del turismo non vedeva passare molte anime vive. Nessun salamelecco di una sapiente civiltà locale al turismo, però non sputiamo nel piatto. Il turismo esorbitante. Il turismo incessante. Il turismo inquinante. Il turismo che sottrae alloggi all’abitante. Tutto poco rassicurante, ma non buttiamo l’acqua con tutto il bambino.

I nostri luoghi diversi dai non-luoghi (quelli che non ti ispirano niente e dei quali non ti rimane niente) non devono diventare parchi a tema per i turisti, tipo orecchiette che escono da ogni buco e tipo «abbasc alla marina s’ venn u pesc». Tutto ci sta, ma non sia il tutto. Il turismo è una industria che deve saper comunicare suggestioni e offrire servizi. Forse ci si sta lavorando dalle nostre parti. Ma finché i lavori sono in progress, in corso, la Puglia bella non storca il naso e accolga da par suo, come dio comanda. Chatwin sarà un’altra volta.

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