L'analisi
Il «bonus carburante» una buona idea solo se favorisce i veri poveri
Se si reperiscono i fondi necessari, senza dubbio di tratta di una azione in grado di colpire selettivamente la povertà energetica: la riduzione generalizzata delle accise, invece, favorendo tutti i consumatori, tende ad essere più vantaggiosa per chi già consuma di più, dunque i più ricchi
Sembra che nella prossima legge finanziaria ci possa essere un sostegno per la spesa di carburante per le fasce meno abbienti della popolazione. È una buona idea che mira a contrastare la cosiddetta “povertà energetica”, uno degli aspetti con cui si manifesta il degrado nel tenore di vita di una parte crescente della popolazione. Però… anche in questo caso c’è più di un però. Tutta l’estate il prezzo della benzina è stato sulle prime pagine di giornali e dei telegiornali. Il rialzo crescente del prezzo alla pompa dei carburanti è stato accusato di alimentare l’inflazione, che dopo la fiammata del 2022 è parsa scendere, seppur lentamente. L’entrata in vigore dell’obbligo per i distributori di esporre il prezzo medio regionale ha quindi centrato l’attenzione sulle politiche di prezzo dei rivenditori, che si sono comprensibilmente lagnati di essere additati come i soli colpevoli dei due euro al litro della benzina. Gestori e case petrolifere hanno quindi, come costume, invitato a guardare piuttosto alle accise, le imposte statali che pesano per oltre il 50% sul prezzo finale alla pompa dei carburanti.
I politici, sia quelli di governo che quelli dell’opposizione, come per un riflesso pavloviano hanno quindi univocamente invocato provvedimenti per la riduzione delle accise, che è una delle voci più stabili e consistenti del bilancio statale. La prima legge di cui ci sarebbe bisogno in Italia sarebbe, piuttosto, quella per cui, quando un politico promette o richiede il taglio di qualche tassa, sia obbligato ad indicare con precisione con quale altra entrata intende sostituire i mancati introiti o quale servizio pubblico intende ridurre o cessare.
Il prezzo elevato dei carburanti pesa in maniera più che proporzionale sulle fasce povere della popolazione. Chi fatica a giungere a fine mese - un problema che riguarda qualcosa come quattro milioni di italiani - tende a ridurre o eliminare proprio alcuni consumi energetici: abbassa la temperatura del riscaldamento (o lo chiude del tutto), limita per quanto possibile i consumi elettrici, muove poco l’automobile, o la elimina se può. Questi comportamenti difensivi hanno pesanti riflessi sociali: come dimostra più di una indagine, le famiglie che adottano strategie di questo tipo hanno minori relazioni sociali e occasioni occupazionali e i primi a rimetterci sono i loro figli, che nel tempo accumulano minori opportunità di crescita e sviluppo. La “povertà energetica” è un problema che si presenta in tutte le società avanzate che stanno attraversando una fase di crescenti diseguaglianze.
Infine, sullo sfondo di tutto ciò, vi è la necessità di procedere sulla strada della decarbonizzazione, cioè l’eliminazione dei combustili fossili, che sono i primi responsabili del riscaldamento globale e quindi dei fenomeni climatici estremi ai quali sempre più spesso assistiamo. L’obiettivo di giungere per il 2050 ad un’economia europea climaticamente neutra obbliga a valutare con attenzione ogni politica che vada nella direzione opposta alla transizione energetica.
In questo quadro ha senso pensare ad un bonus benzina o una social card carburanti per le famiglie e le persone a bassissimo e basso reddito? Se si reperiscono i fondi necessari, senza dubbio di tratta di una azione in grado di colpire selettivamente la povertà energetica: la riduzione generalizzata delle accise, invece, favorendo tutti i consumatori, tende ad essere più vantaggiosa per chi già consuma di più, dunque i più ricchi.
Tuttavia, come è stato osservato, creare una nuova card o un bonus ha costi burocratici e gestionali non irrilevanti, che disperderebbero in parte le risorse rinvenute per finanziare il provvedimento. Non è poi irrealistico prevedere che potrebbe essere fonte di abusi e “scambi”, creando una sorta di mercato parallelo di carburante. Infine, se fosse basata sul reddito dichiarato, ad esempio attraverso lo strumento dell’Isee, potrebbe generare le medesime truffe che hanno riguardato il Reddito di cittadinanza, in molti casi percepito da incapienti che erano semplicemente evasori fiscali.
In sintesi, forse è una banalità sottolinearlo, ma sarebbe un buon provvedimento se riuscisse a favorire i veri poveri e non coloro che semplicemente non pagano le tasse: insomma, alla fine il problema-cardine della modernizzazione del nostro Paese è sempre quello.