Il commento

La Fiera del Levante innalzi il vessillo d’un nuovo Mezzogiorno

Domenico Di Nuovo

I grandi nodi sul dualismo economico hanno smarrito ogni appeal nella classe dirigente nazionale, in special modo di quella politica

Quantunque la Fiera del Levante abbia imboccato un percorso di rilancio, la sua vocazione meridionalistica stenta a raggiungere livelli comparativi non tanto o non solo con l’epoca «d’oro» della sua tradizione, quanto con quella di alcuni lustri addietro, quando le cerimonie inaugurali erano ancora «impreziosite» dalla partecipazione dei Presidenti del Consiglio e le stesse Giornate del Mezzogiorno vertevano su tematiche di grande rilevanza per le sorti delle aree depresse.

Certo, quell’aura romantica è andata appannandosi, anche a causa di convegni sempre più improduttivi a fronte di problematiche che richiedevano maggiore coerenza dalle varie leadership, ma oggi il calo di tensione è sin troppo evidente.

I grandi nodi sul dualismo economico hanno smarrito ogni appeal nella classe dirigente nazionale, in special modo di quella politica. E la stessa Campionaria è diventata il riflesso di questa sminuita attenzione. Si potrebbe rispondere - nonostante tutto - che la sua natura mercantile, europea ed internazionale persista e connota ogni evento del calendario di attività. Ma è indubbio che la sua «anima» meridionalistica ha perso smalto e servirebbe non poco afflato a rivitalizzare discussioni di cogente valenza, come ad esempio sull’autonomia differenziata o il Pnrr. D’altra parte, quale migliore occasione sarebbe quella di stimolare specifici dibattiti proprio nel contesto di una rassegna che per consuetudine ha favorito disamine e riflessioni scevre da retoriche strumentali? Eppure, c’era un tempo in cui non solo tutto ciò sarebbe stato plausibile, ma persino foriero di qualche proposta o direttiva, come storicamente accertato. Basti accennare ad alcune iniziative che hanno segnato la mitica presidenza di Nicola Tridente, coincidente forse con la stagione più feconda della Fiera, a partire dal secondo dopoguerra sino agli anni del libero scambio, dell’avvento comunitario e del «miracolo economico». Una fase, questa, di profonde elaborazioni e soprattutto di importanti indirizzi sul piano della politica economica, in cui la «secolar questione» aveva acquisito una sua centralità programmatica.

Nel merito, come non citare l’organizzazione nel ’48 del congresso su «ERP e Mezzogiorno», imperniato sugli aiuti del Piano Marshall, in cui si comincia a ipotizzare quel poderoso strumento che sarebbe poi diventata la Cassa del Mezzogiorno, varata due anni dopo? La stessa propensione europea viene di fatto auspicata dal leader repubblicano La Malfa attraverso un primo messaggio di apertura verso la Comunità economica. Non solo. In chiusura dell’edizione del ‘58 è ancora il ministro Giulio Pastore a ribadire la svolta industrialista al Sud dopo la prima fase dell’Intervento straordinario. E poi, come dimenticare «Civiltà degli Scambi», l’organo ufficiale della Fiera e della Camera di Commercio, su cui intellettuali, tecnici ed economisti, studiosi ed esponenti istituzionali si confrontano sugli impellenti nodi di un divario, collocato ormai in un orizzonte di apertura internazionale? Di questa autorevole «tribuna» vale quantomeno menzionare il gruppo redazionale, composto da giornalisti ed esperti dello ufficio-stampa dell’Ente, che aveva nel capo redattore Vittore Fiore, e dietro la co-direzione di Nicola Tridente e Calogero Guzzardo, un fervente animatore. Del resto, la stessa rivista si rende promotrice nella Fiera del ‘59, di un qualificato convegno sui piani regionali di sviluppo (relatore ufficiale Alessandro Molinari) in cui per la prima volta, sulla scia dello Schema Vanoni, si dà il via al dibattito sulla programmazione regionale che avrebbe poi preso piede, pur tra tante resistenze e tentennamenti.

Si comincia allora a discutere di metodologia, strumenti e finalità per un’impostazione di crescita periferica e coordinata. Ed è risaputo quante battaglie, tra sollecitazioni confronti e iniziative, si avranno nella stessa Puglia ai fini di uno sviluppo più democratico ed equilibrato sino al varo dell’istituto regionale.

Non indugeremo nella lunga elencazione di eventi, conferenze o discorsi inaugurali (memorabili, come noto, quelli di Aldo Moro alla guida del centro-sinistra) che hanno scandito tanto interesse nella Campionaria sino alla fine della Prima Repubblica. Né citeremo la presenza di altri vertici di Governo, la cui partecipazione era l’occasione per bilanci e prospettive sulla politica economica (e meridionale) alla ripresa autunnale.

Sono cambiati i contesti, le congiunture, le problematiche e mancano persino certi uomini e certe idee. Lo stesso meridionalismo è diventato una parola quasi stancante o impronunciabile. E tuttavia, a fronte di un suo indubitabile declino, il dualismo strutturale persiste con nuovi dilemmi e antiche contraddizioni. Sarebbe compito di una rivitalizzata Campionaria innalzare più in alto sull’effigie della caravella il vessillo per un nuovo Mezzogiorno. Fuori di metafora, si tratterebbe di cimentarsi e confrontarsi su aggiornate analisi, avanzate progettualità e - come detto - di una rinnovata tensione.

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