L'analisi
Il passo breve di Vannacci, dal fango delle missioni alla politica-spettacolo
Al di là degli aspetti che sono emersi con prepotenza sui media, difatti, Vannacci non se la prende soltanto con gay, immigrati irregolari, gente di colore e femministe, ma passa in rassegna a trecentosessanta gradi una serie di situazioni disparate disegnando – per negazione – «il mondo che vorrebbe»
«Generale, queste cinque stelle/queste cinque lacrime sulla mia pelle/che senso hanno dentro al rumore di questo treno…». Quant’è distante dal «comandante» cantato da Francesco De Gregori alla fine degli anni Settanta (Generale, 1978), in un brano che è un inno alla pace ritrovata, il generale Roberto Vannacci che ha l’indiscutibile merito di aver monopolizzato l’attenzione dell’italica gens nel cuore dell’estate, surclassando i più modesti dibattiti su scontrini, toast dimezzati (nulla a che fare con le prossime celebrazioni per Italo Calvino), frise, lettini e ombrelloni.
Vannacci si ritrova (a quanto pare affatto infastidito) al centro di un vortice di polemiche non già per le opinioni espresse in campo strategico-militare – di cui certo è un esperto, avendo ricoperto ruoli di comando in Afghanistan, Iraq e Libia oltre che di direzione del corpo dei paracadutisti – ma per la pubblicazione di un libro dal titolo «Il mondo al contrario», autoprodotto e balzato in pochi giorni al vertice delle classifiche delle vendite online, nel quale si propone come paladino di tutti coloro che, simili ad alieni, vivono nel presente «in un ambiente governato da abitudini, leggi e principi ben diversi da quelli a cui eravamo abituati».
Il suo obiettivo – questo sì nel senso militaresco di bersaglio – sono le minoranze, ma non solo. Al di là degli aspetti che sono emersi con prepotenza sui media, difatti, Vannacci non se la prende soltanto con gay, immigrati irregolari, gente di colore e femministe, ma passa in rassegna a trecentosessanta gradi una serie di situazioni disparate disegnando – per negazione – «il mondo che vorrebbe»: dalla giustizia che favorisce troppo chi viola la legge al mancato rispetto delle norme antinquinamento da parte dei produttori di gas climalteranti, dalle richieste di riconoscimento di diritti senza correlativa individuazione di doveri alla moda dei cagnolini portati al guinzaglio vestiti di tutto punto, quasi fossero dei pargoli. Insomma, ce n’è per tutti i gusti e ciascuno potrà trovare un tema affine alla sua visione del mondo, fermo restando che quella complessivamente propagandata nel volume dal generale è sua (e fortunatamente solo sua).
Lo scontro – soprattutto all’interno dell’attuale maggioranza di governo – si è sviluppato su una duplice direttrice: libertà d’espressione vs rispetto delle istituzioni. Ora, è evidente che il generale-censore dei costumi italici, come chiunque altro, abbia tutto il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni (l’art. 21 comma 1 Cost. non ammette deroghe), ma, al contempo, è altrettanto indubbio che il ricoprire posizioni di rilievo istituzionale debba indurre a cautela e ad autonome prevalutazioni di opportunità del proprio operato.
Quando ciò non accade, e il comportamento tenuto – senza essere illecito – lede il prestigio delle istituzioni, l’intervento dei superiori gerarchici appare legittimo e non per questo assume sapori censori. C’è del resto una legge – che ha gli stessi anni del brano di De Gregori richiamato in apertura – che si occupa proprio dello status dei militari e che in ragione delle loro peculiari funzioni, senza negare loro i diritti fondamentali, pone delle limitazioni al loro esercizio (l. 382/78, art. 3). Si spiega così l’intervento del ministro della Difesa Guido Crosetto, che ha condotto alla rimozione del generale Vannacci dall’incarico di capo dell’Istituto geografico militare di Firenze. Un compito tutt’altro che secondario e dalle implicazioni internazionali, in primis in ambito Nato. Da qui, com’è stato rilevato, l’assoluta inopportunità delle opinioni discriminanti per ragioni etniche e di razza espresse dal generale.
Ma davvero il generale ha agito senza rendersi conto del polverone che un libro dai contenuti così deflagranti e divisivi avrebbe sollevato? E senza considerare di non essere un sig. Rossi qualsiasi bensì un esponente di vertice delle forze armate, la cui reputazione va garantita prima di ogni cosa dai suoi esponenti? Cosa c’è, allora, dietro la collina per il generale Vannacci? Di certo non «la notte buia e assassina» evocata dal Principe della canzone italiana – a queste latitudini le guerre sono da tempo ormai solo mediatiche, ridotte a spettacolo televisivo e/o internettiano – ma probabilmente più confortevoli serate sui salotti illuminati a giorno dai riflettori dei talk show che affollano le nostre reti, grazie alla notorietà-flash acquisita con l’«Operazione Il mondo al contrario» (quantomeno non un’operazione di guerra tradizionale), e – perché no – una discesa (ovviamente con paracadute) in politica.
Rumours giornalistici delle ultime ore lo indicano come verosimile candidato per la Lega alle prossime Europee.
Dal fango delle missioni all’estero e dall’incedere cadenzato degli anfibi al mondo ovattato della politica-spettacolo, scandita a ritmo di social, il passo è più breve di quanto si possa immaginare. Per tutti, anche per un generale.