L'analisi
Ripensando ad Adam Smith il capitale umano fra la Scozia e la mia Puglia
Adam Smith fu uno dei primi studiosi ad introdurre il concetto di capitale umano nel pensiero economico
Una delle variabili fondamentali per l’andamento dell’economia e la sua crescita è il capitale umano. Adam Smith, uno dei padri dell’Illuminismo in Gran Bretagna, studente e professore dell’Università di Glasgow, istituto del quale sono attualmente Rettore (Principal), fu uno dei primi studiosi ad introdurre il concetto di capitale umano nel pensiero economico. Fece questo attraverso le sue lezioni a Glasgow e, come è ben noto, nella sua grande opera La Ricchezza delle Nazioni nel 1776, che diede vita allo studio moderno dell’economia politica.
Quest’anno si celebra il tricentenario della nascita di Smith (Kirkcaldy, 5 giugno 1723 – Edimburgo, 17 luglio 1790). Per l’Università di Glasgow è stata un’occasione per celebrare la figura di uno dei pochi studiosi del diciottesimo secolo il cui contributo al pensiero economico rimane ancora oggi di attualità, nonostante il contesto delle nostre strutture produttive, sociali, ed economiche sia cambiato radicalmente in 300 anni. Tra i molti personaggi che sono intervenuti per le celebrazioni in Scozia, Gita Gopinath (Vice Direttrice del Fondo Monetario Internazionale) ha presentato una lezione su come Adam Smith potrebbe offrire una chiave di lettura per l’impatto economico e sociale dello sviluppo dell’intelligenza artificiale (https://www.imf.org/en/News/Articles/2023/06/05/sp060523-fdmd-ai-adamsmith). Come nota la Gopinath, ci sono paralleli importanti tra la rivoluzione tecnologica attuale, che potrebbe portarci in breve tempo alla Industry 6.0, e la prima rivoluzione industriale che descriveva Smith quando vedeva sorgere la Glasgow industriale nel diciottesimo secolo, circondato da figure importanti nella nostra Università come James Watt (che perfezionò il motore a vapore) ed il chimico e medico Joseph Black che identificò il concetto del calore latente e scoprì l’anidride carbonica.
Questa estate ho avuto il piacere di tornare, anche se troppo brevemente, in Puglia, nella mia città natale di Mola di Bari. Da economista è sempre utile cambiare prospettiva, e seguire, sebbene imperfettamente, i dibattiti sulle politiche in altri Paesi. È evidente che l’Italia, come la Gran Bretagna e molte altre economie dell’Occidente, nonostante le problematiche siano diverse tra paesi, hanno in comune il problema di come rilanciare la crescita della produttività. Da questo dipende non solo il nostro benessere economico attuale, ma anche l’abilità di far fronte ai grandi investimenti richiesti per affrontare sfide importanti come il cambiamento climatico e l’invecchiamento della popolazione con le relative spese per la sanità ed il welfare.
A partire dalla crisi finanziaria del 2007-08, nei Paesi G20, il minore dinamismo della produttività, sia quella del lavoro sia quella multifattoriale, ha impattato negativamente sulle prospettive di crescita in tutti i Paesi industrializzati. Le possibilità di crescita ne risultano diminuite. Alla fine della decade 1990-2000, la crescita del PIL potenziale nei Paesi più avanzati del G20 era mediamente del +2,2 per cento annuale. Negli ultimi dieci anni questa crescita è calata circa dello 0,8 per cento. L’Italia e la Gran Bretagna sono i fanalini di coda all’interno del G20. I Paesi emergenti hanno mantenuto un tasso di crescita più elevato; in Italia, invece, negli ultimi dieci anni, la crescita media annuale è scesa dal +0,2 per cento medio annuo al -0,2 per cento.
Due dei fattori più importanti per ridare dinamismo alle nostre economie sono lo sviluppo del capitale umano e, congiuntamente, le innovazioni tecnologiche che permettono, alla forza lavoro di aumentare la propria produttività, come descritto da Adam Smith. In questo contesto, sappiamo quanto siano importanti per l’Italia gli investimenti stimolati dal PNRR, da completare in aree dove l’Italia, rispetto agli altri paesi, mostra carenze importanti ed allarmanti (nella scuola, nella formazione, nelle infrastrutture digitali e di comunicazione 5G/6G, ecc). Investimenti, inoltre, da non sbagliare assolutamente in quanto sono un’opportunità unica per colmare il divario produttivo con altri paesi avanzati.
Dovremmo però riflettere anche sul modo in cui le nuove tecnologie, che dovrebbero dare la spinta economica necessaria a paesi come l’Italia, la Gran Bretagna ed altri paesi industrializzati, interagiscono con la formazione e lo sviluppo del capitale umano. Alcuni economisti in contributi recenti hanno spiegato che bisognerebbe assicurarsi che lo sviluppo delle nuove tecnologie emergenti come, per esempio, l’intelligenza artificiale, la manifattura avanzata, e la tecnologia quantistica, non incidano negativamente sulla diseguaglianza. Daron Acemoglu e Simon Johnson del MIT di Cambridge Massachussetts nel loro volume Power and Progress usano una prospettiva storica per enfatizzare come i periodi di crescita e di evoluzione tecnologica rapida a volte hanno aumentato la produttività dal lavoro, ma hanno purtroppo creato condizioni sociali ed economiche negative per la maggioranza dei lavoratori. Soprattutto evidenziano come si debba evitare che le nuove tecnologie portino alla sostituzione del capitale umano, e creare invece una spinta tecnologica che promuova la complementarità del capitale umano.
L’economista David Autor (anche del MIT) evidenzia che in aree professionali come la medicina, l’ingegneria, ed i settori legali e finanziari, uno sviluppo complementare dell’intelligenza artificiale potrebbe evitare seri problemi di sostituzione di capitale umano nel mercato del lavoro.
Questo ci riporta alla rilevanza e l’attualità del pensiero di Adam Smith. Smith capiva benissimo che la stabilità sociale dipendeva in gran parte dagli equilibri del mercato e dell’intera società. Nel primo libro della Ricchezza delle Nazioni nota che «... Nessuna società può essere sicuramente fiorente e felice se la maggior parte dei membri sono poveri e miserabili...». Nei prossimi anni affronteremo alcune delle sfide più importanti e difficili per l’umanità dalla nascita della prima era industriale. Investire nelle nuove tecnologie e nella formazione del capitale umano attraverso le scuole e le università sarà essenziale per permetterci di far fronte a queste sfide. Al tempo stesso, avremo l’imperativo di pilotare lo sviluppo di queste tecnologie per assicurare che i benefici economici siano condivisi equamente tra capitale e lavoro.