L'analisi
Banche, extra-profitti e l’amore degli italiani per le «tasse punitive»
In Italia, ormai da molti decenni, la classe politica è molto più preoccupata del governo del consenso che del governo del Paese.
In Italia, ormai da molti decenni, la classe politica è molto più preoccupata del governo del consenso che del governo del Paese. La politica di bilancio - strumento principale per indirizzare l’azione pubblica - non è esente da questa «patologia» che alcuni chiamano populismo ma che sarebbe meglio definire come un crescente mix di cialtroneria (mancanza di serietà/responsabilità) e incompetenza (mancanza di capacità) nel governare. Le azioni e le dichiarazioni di questi primi mesi suggeriscono che i principi che ispirano la politica di bilancio del governo (ma anche di buona parte dei partiti di opposizione) sembrano essere due:
1) Gli Italiani odiano le tasse.
2) Gli Italiani amano le «tasse punitive», ovvero quelle imposte su parte della società e dell’economia su cui per motivi reali o ideologici si concentra una buona dose di odio (oggi tocca alle banche).
3) Gli Italiani hanno una scarsa conoscenza sull’importanza del sistema fiscale nel generare benessere (attraverso beni e servizi pubblici come sanità e istruzione) ed equità (attraverso una redistribuzione «giusta» tra individui).
L’odio verso le tasse accomuna molti popoli (in genere quelli meno evoluti nella fornitura di beni collettivi) e viene da lontano nella storia. È frutto della presenza di un governo percepito come potere imposto ed estraneo (come le monarchie del passato) e delle tasse come strumento per appropriarsi in modo illegittimo di una fetta della produzione privata. Questa trappola antropologica è assai comune a larga parte della popolazione italiana; una visione purtroppo in crescita …. il cittadino che non esercita i suoi diritti di cittadinanza (come il voto) si avvicina sempre più al servo, estraneo alle decisioni pubbliche ed avverso a contribuire finanziariamente alle stesse. L’odio per le tasse - cavalcato dai partiti populisti che ad esempio strizzano gli occhi all’evasione - porta a due conseguenze dirette. La prima è il ridimensionamento inevitabile dell’azione degli Stati, ovvero minore fornitura di beni collettivi come sanità, istruzione, infrastrutture. La seconda è la crescita delle disuguaglianze sociali.
L’incapacità dello Stato di provvedere all’erogazione di beni e servizi di pubblica utilità o di proteggere i cittadini da rischi - come malattia, disoccupazione, vecchiaia - si traduce in un più ampio numero di persone indigenti ed ai margini di economia e società. L’odio per le tasse accomuna Paesi come gli USA - in cui l’8,3% della popolazione non ha accesso a cure sanitarie - e Paesi poveri e sottosviluppati come gran parte delle economie africane. Il totale delle entrate dello Stato in Niger nel 2020 è stato pari al 10,4% del PIL …. ma vivere in questo «paradiso dei contribuenti» non sembra essere particolarmente piacevole. Così come vivere negli «inferni fiscali» dei paesi Scandinavi (Norvegia, Svezia e Finlandia, che hanno un totale delle entrate di bilancio maggiori o uguali al 50% del PIL nel 2021) non sembra generare molta infelicità.
L’immotivato odio per le tasse fa il pari con l’uso delle stesse come una clava punitiva per motivazioni di natura populista; per compiacere il popolo «buttando» la categoria odiata di turno (questa volta le banche) nell’arena del Colosseo. Molti colleghi economisti in questi giorni hanno sottolineato l’assurdità dal punto di vista della scienza economica della tassa sugli extra-profitti delle banche.
Occorre fare una premessa su questo tema: i profitti vanno tassati - e a mio avviso più di quello che vien fatto oggi - sia perché tutti devono contribuire al finanziamento dei beni collettivi (motivazione di equità) sia perché i beni collettivi (pagati da tutti noi) sono strumentali per conseguire profitti elevati (motivazioni di efficienza). Un’impresa genera profitti maggiori se può accedere a infrastrutture e servizi pubblici migliori o se può contare su una forza lavoro più istruita e sana. Dov’è allora l’errore di questa misura del governo Meloni e dei suoi tanti supporter di sinistra? Il primo errore è nel concetto di extra-profitto che presuppone che vi sia un tasso di profitto definito come «giusto» dal Governo (!!). L’applicazione di questo concetto non solo è impossibile nella pratica - perché semplicemente non esiste una definizione sensata e misurabile di tale limite al profitto - ma, per coerenza, presuppone che vi sia anche un limite minimo al di sotto del quale il Governo (ovvero la collettività) dovrebbe intervenire con sussidi. Quando le banche - o altri agenti economici - fanno scarsi profitti o perdite per analogia dovremmo utilizzare «extra-sussidi». Il risultato sarebbe un ritorno all’URSS in salsa venezuelana.
Il secondo problema è che misure di questo tipo sono predatorie in quanto definite in modo retroattivo; se fai molti profitti (magari perché sei stato bravo ed hai prodotto beni e servizi che piacciono ai consumatori e generano benefici per chi acquista) ti aspetterà una probabile tassa aggiuntiva ….questo rischio a sua volta darà incentivi perversi alla classe potenzialmente più produttiva del Paese e scoraggerà le attività economiche e il progresso di cui i profitti sono il motore (per inciso: questo è lo stesso ragionamento basato su incentivi/disincentivi utilizzato dal Governo per giustificare la scure sul reddito di cittadinanza!).
Il terzo problema è l’inefficacia di queste misure in settori come quello bancario (o energetico) che sono caratterizzati dalla presenza di grandi imprese con un forte potere di mercato. Come sottolineato dal collega Forges Davanzati in queste pagine, la «cura» ai profitti ritenuti elevati e ingiusti in questi settori (così come per taxi e farmacie) non è quella di utilizzare tasse extra - che verrebbero e verranno pagate comunque dai consumatori finali - ma di promuovere la concorrenza e usare politiche che già abbiamo (vedi l’Anti-trust) per sanzionare abusi di posizione dominante.
Una brutta pagina di politica economica del Paese. Il problemi che stiamo affrontando meritano un’azione di governo di ben altro livello che non sia sempre distorta da battaglie di consenso elettorale. È possibile avere misure basate più sulla ragione e meno sul sentimento?