La riflessione

Dal caso Zaki ai migranti, l’Italia torna centrale nel mare «dimenticato»

Piero Liuzzi

Troppo impegnati sul fronte ucraino e su Taiwan, Stoltenberg e Biden hanno accumulato un bel ritardo negli affari mediterranei

La sentenza era definitiva ed esecutiva. Quindi poteva essere modificata solo con un atto politico a seguito di un’iniziativa diplomatica.

Poiché è molto difficile che qualcuno degli addetti ai lavori ci racconti per filo e per segno come sono andate le cose, è legittimo ricamarci su.

Tutto sommato, si può dire che la magistratura egiziana era andata di mano leggera con l’«occidentalista» Zaki, rispetto alle sentenze ben più pesanti che gravano su islamisti a parità di reato, per così dire, d’opinione. Che per la nostra sensibilità occidentale tutto questo sia inaccettabile è evidente ma è anche frutto di plurime contraddizioni insolubili. Per l’Occidente, e ancor più per gli Stati Uniti, Erdogan è un rebus ben peggiore di al-Sisi. Il leader turco, il cui sistema giudiziario è altrettanto inaccettabile di quello egiziano, è potente membro della Nato ma in rapporti con Putin e soprattutto dominus di quegli Stretti, dal Bosforo ai Dardanelli, che sono il fine ultimo delle ambizioni del Cremlino sulla Crimea, il Mare d’Azov e persino su Odessa.

A margine, ricordo che tutti noi membri della UE versiamo consistente obolo nelle casse di Ankara per blindare con frontiera esterna le migrazioni sulla rotta balcanica. Invece, più a buon mercato finora la relazione con il tunisino Saied che, come Erdogan e al-Sisi, non è un campione di democrazia. E sui rapporti passati con svariate milizie libiche affinché si tenessero i migranti è meglio stendere un velo di silenzio.

Niente è comprensibile della partita su Zaki e di quella ancor più tragica e grave di Regeni, senza mettere in conto il potere di chi, in alterni potentati e vicissitudini, dal 1869, con l’apertura del Canale di Suez, controlla oggi un quarto del transito globale di merci tra l’Indo-Pacifico e l’Atlantico e due terzi dell’energia diretta in Europa (soprattutto petrolio e gas). Aggiungerei che sul fondo delle trafficatissime acque egiziane, libiche, tunisine e quindi anche italiane, giacciono i cavi che consentono a una gran parte del mondo di funzionare.

Che un giovane studioso dell’Università di Bologna sia incappato in un groviglio politico-strategico che probabilmente non prevedeva neppure la sua esistenza sembra un caso. Meno tragico del «Caso Regeni» ma, a ben vedere, in certi mondi nulla accade per caso. Tuttavia per entrambi, che sia la magistratura italiana a voler accertare la «verità giudiziaria» per Regeni o quella egiziana per Zaki, non ha valore alcuno. La verità è del tutto evidente nella sua natura politica.

Se le cose stanno così sarà toccato alla diplomazia italiana e quindi alla politica con opportuni riserbo e discrezione cercare di restituire Zaki alla sua libertà. Nel caso di Giulio Regeni la posta era troppo alta per il governo egiziano. Giorgia Meloni, a proposito della sentenza di Zaki ha detto solo che «il nostro impegno continua». E Infatti! Non a caso nella recente visita a Tripoli tra una Von der Leyen a fine corsa e un Rutte in carica solo per gli affari correnti, Meloni è sembrata avere un ruolo chiave soprattutto nella difficilissima trattativa tra Saied e il Fondo Monetario Internazionale.

L’egiziano al-Sisi è un osso duro ma Meloni probabilmente avrà giocato tutte le sue carte. Tra queste l’esito della cena di pochi giorni fa con il Segretario Generale della Nato Stoltenberg e, per quanto se ne sa, l’intesa sull’impegno italiano in Africa. Il Piano Mattei per l’Africa, se tenacemente fondato su sviluppo locale e stabilità, può costituire lo scenario lungimirante per l’Italia di oggi è di domani.

Troppo impegnati sul fronte ucraino e su Taiwan, Stoltenberg e Biden si saranno resi conto di aver accumulato un bel ritardo negli affari mediterranei. Per l’Italia può essere un’ottima opportunità. A ben vedere lo è stata anche per Zaki.

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