L'opinione
Pochi asili nido, pochi soldi e quindi pochi figli
Il problema della denatalità, di cui giustamente l’Europa si preoccupa, è l’Italia. E se ne preoccupano più gli economisti che sociologi e antropologi. Perché senza natalità non c’è crescita
Girando per l’Europa (ma anche osservando i turisti in giro, anche a Bari) viene all’occhio che le giovani coppie straniere – di solito - hanno almeno 3 figli.
Questa sembra essere la media, molto superiore a quella italiana.
Il problema della denatalità, di cui giustamente l’Europa si preoccupa, è l’Italia. E se ne preoccupano più gli economisti che sociologi e antropologi. Perché senza natalità non c’è crescita.
Perché l’Italia? Certo c’è un problema strutturale. Mancano asili nido e una politica di assistenza per le madri lavoratrici. C’è un problema salariale e di legislatura a sostegno dei bisogni delle madri e delle famiglie. Salari da fame e estrema precarietà di impiego, non aiutano. Anzi, demotivano.
Ecco un tema importante che tiene insieme istanze sociali e civili e potrebbe essere unificante per una sinistra di lotta e di governo.
Fosse per me (ma per fortuna, forse, non lo è) i soldi del PNRR li avrei impegnati soprattutto su questo. Asili nido, scuole primarie, scuola, scuola, scuola, e università e ricerca. E quindi costruzione di asili nido, ristrutturazione delle scuole in gran parte fatiscenti e non a norma (vedete le scuole nei film americani ed europei? Avete presente le nostre?).
Aumenti stipendiali e formazione seria per i docenti. Soldi, soldi, soldi a università e ricerca per renderle appetibili ai nostri ragazzi che si sentono in dovere, spesso a torto, di snobbarle e di emigrare.
Poi, del PNRR, se avanza qualcosa, a tutto il resto, con prevalenza per la tutela del territorio.
Non so se ciò rientra nel concetto di «resilienza», brutta parola che non significa niente, ma io la penso così.
C’è però, a mio parere, un altro aspetto della denatalità italiana che va sottolineato.
I figli e le famiglie sono, vengono vissuti, assai spesso, come un sacrificio, se non un fastidio.
Mettere famiglia, fare figli, contrasta con l’idea di «realizzazione personale» oggi in voga. Significa non uscire di sera a cazzeggiare con gli amici.
Ridurre gli elementi di socializzazione, fare qualche sacrificio o rinuncia, e questo non like. Si rinvia, si rinuncia. Poi è troppo tardi.
Vogliono sposarsi e (si suppone) fare figli soprattutto i preti (e perché impedirglielo? Lucio Dalla ipotizzava «soltanto a una certa età»). Per la maternità c’è anche il desiderio di «surrogata» che porta con sé il sospetto di sfruttamento e mercificazione del corpo femminile o forse di classismo essendo riservata a un ceto facoltoso, ma che comunque porta figli.
Ed infine, volendo buttarla in politica (ma tutto è politica) si può affermare (e io lo affermo) che questa impostazione mentale è forse uno dei lasciti più perniciosi del berlusconismo.
Una eco di tardo edonismo reganiano ha sempre pervaso il suo pensiero.
Tutti devono guadagnare e arricchirsi, fare la bella vita, il modello è Drive In (che pure a me piaceva) i poveri sono sfigati. Una vita «da bere», una vita «a gogò» che mal si concilia con la sera davanti alla TV per allattare il,e pulire il culo al, pupo.
Certo è difficile pensare alla «austerità» (che pure qualche danno lo ha prodotto) figlia della questione morale berlingueriana. Ma una mossa bisogna darsela. Non tutti i desideri sono diritti, e prima dei diritti (o almeno insieme) vengono i doveri. Anche verso i posteri.
Non l’etica del sacrificio, per carità, ma un equo e ragionevole contemperamento.
E i figli bisogna farli! Sono la speranza e la cosa più preziosa.