L'opinione
Autoferrotranvieri: quella legge fascista che nessuno cambia
Per questo, i ferrovieri vennero sottoposti a un regime pressocchè militare, tanto che l’allegato A), regolante la materia disciplinare, ne sublimò il rigore prevedendo che sulle destituzioni dal servizio decidesse uno speciale Consiglio di Disciplina
Il Regio Decreto n.148 del 1931 venne varato - in nome del Re non ancora Imperatore - con il fascistissimo scopo di «fare arrivare i treni in orario». Per questo, i ferrovieri vennero sottoposti a un regime pressocchè militare, tanto che l’allegato A), regolante la materia disciplinare, ne sublimò il rigore prevedendo che sulle destituzioni dal servizio decidesse uno speciale Consiglio di Disciplina, composto paritariamente da esponenti aziendali e «sindacali» (sindacati fascisti, of course), e presieduto da un Magistrato. La logica era chiara: rispetto alle singole aziende, dava maggiori garanzie di severità un Organismo esterno emblematico del cosiddetto regime corporativo, in cui Magistrati, esponenti aziendali e dirigenti «sindacali» erano inscindibilmente avvinti in un unico «fascio», lo Stato. Come sia stato possibile che norme così scopertamente fasciste, e così datate, siano sopravvissute al regime, siano transitate nell’ordinamento repubblicano, e oggi - quasi cento anni dopo - siano addirittura considerate norme di «protezione» dei lavoratori del settore autoferrotranviario, è un mistero che le contorsioni della giurisprudenza non bastano a spiegare.
Poiché, tuttavia, prima o poi i nodi vengono al pettine, ecco che quanto sta avvenendo nella Regione Puglia - portato alla luce da una meritoria inchiesta de «La Gazzetta del Mezzogiorno» - basta a dare conto della necessità di cambiare: da un lato la Regione, che nomina un Magistrato in servizio alla presidenza di tutti i Consigli di Disciplina aziendali, dimenticando che qualunque incarico a magistrati deve essere previamente autorizzato dal CSM; dall’altro il Magistrato in questione, che svolge le proprie funzioni pur non avendo ottenuto la necessaria autorizzazione, e che si dimette solo dopo una sentenza del Consiglio di Stato che conferma il diniego del CSM; e in mezzo, come asini in mezzo ai suoni, le povere Aziende, oggi esposte in Puglia all’annullamento dei licenziamenti disposti dai Consigli di Disciplina, e a rischio di dover persino reintegrare nel posto di lavoro, dopo anni, dipendenti licenziati per gravi reati.
Un pasticcio locale, si dirà. E invece no, la vicenda dei Consigli di Disciplina delle aziende autoferrotranviarie si trascina da almeno un quarto di secolo a livello nazionale, senza aver trovato una soddisfacente soluzione.
Il Consiglio di Stato, con parere dell’anno 2000, afferma l’intervenuta abrogazione dei Consigli di Disciplina sulla base di un decreto legislativo del 1998. Poiché tuttavia alcune Regioni (tra cui la Regione Puglia) procedono ugualmente alla nomina del presidente dei Consigli di disciplina, intervengono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che nel 2005 ribadiscono perentoriamente l’intervenuta abrogazione dei Consigli. Proprio sulla base di detta decisione, la Regione Puglia non procede ad ulteriori rinnovi, ed anzi nel 2008 formalmente prende atto dell’abrogazione di detti organi. Senonchè, incredibilmente, i Consigli di Disciplina, già dichiarati estinti dalla giurisprudenza, tornano a vivere per effetto di nuove decisioni giurisprudenziali. Non è dato capire, in verità, come organi abrogati possano essere risuscitati senza un intervento legislativo, ma tant’è: la Cassazione contraddice sé stessa, e in tutta una serie di decisioni torna a ritenere operativi i Consigli di Disciplina. La confusione è tale, che nel 2019 intervengono due decisioni di segno totalmente opposto della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, a distanza di appena sette giorni l’una dall’altra: con la prima si ritengono operativi i Consigli di Disciplina, mentre con la seconda li si considera abrogati.
In questa babele, oggi la Corte di Cassazione sembra attestata (per quanto tempo?) nel ritenere operanti i Consigli di Disciplina. E addirittura, Aziende che avevano chiesto la nomina del Consiglio di Disciplina ma si erano sentite rispondere picche dalla propria Regione (è il caso delle aziende della Regione Toscana, ma anche delle aziende pugliesi prima del 2019), sono state condannate per avere disposto licenziamenti in assenza del Consiglio di Disciplina. E poichè alcune sono aziende a prevalente capitale pubblico, pur senza avere alcuna responsabilità hanno dovuto versare fior di indennità, con i soldi dei contribuenti, anche a dipendenti condannati in sede penale per gravi reati.
Non si può continuare così. Né la politica può continuare a voltarsi dall’altra parte, fingendo che il problema sia di natura solo sindacale. C’è assoluta necessità di un chiarimento legislativo, che definisca una volta per tutte il regime disciplinare degli autoferrotranvieri. Dopo cento anni, sarebbe davvero il caso.